Giuseppe Duodo e la prima battaglia di Lissa (13 marzo 1811)

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Nobilissimi cuori italiani rivelarono al mondo, durante il periodo della dominazione napoleonica, come tra la nostra gente, pure dopo molti secoli di schiavitú, di mollezza, di disorientamento politico, non fossero spente quelle virtú marziali che rendono un popolo meritevole di rispetto, di ammirazione, di indipendenza. Per opera di tali cuori esemplari cominciò a formarsi, agli albori del secolo XIX, quella diritta coscienza nazionale, che doveva poi, attraverso una lunga successione di sforzi dolorosi, di duri esili, di crudeli prigionie, di atroci supplizi, di asperrime battaglie condurre, progressivamente ma sicuramente, agli odierni fastigi della libertà e grandezza della patria. In effetto, dal turbine vermiglio di sangue, dorato di gloria, scatenato da Napoleone Iº, era scaturita una energia di fedi, di propositi, di azioni, forse ignota pure a coloro stessi che la possedevano: ma reale, poderosa, fattiva. Promotori di tale energia furono, soprattutto, gli uomini d’arme, che, pure obbedendo a Napoleone, avevano l’orgoglio, nel combattere, di onorare l’ Italia, di farne pronunciare il nome dagli stranieri con schietta, inusitata simpatia.

Fra quei generosi giganteggia, per alto sentimento del dovere, spinto fino all’ eroismo, fino alla dedizione della vita, la figura di un Friulano, di Giuseppe Duodo, del quale mi permetto di rievocare brevemente la vita, densa di opere guerresche, la morte, illuminata da fulgida rinomanza militare.

Giuseppe Antonio Duodo nacque a Codroipo, il 2 dicembre 1757, da Alvise Francesco, pubblico notaio, e dalla contessa Maria Maniu. Fu battezzato nella chiesa arcipretale di Santa Maria Maggiore in Codroipo il 7 dicembre 1757, e fu tenuto al Sacro Fonte dal conte Venceslao di Spilimbergo e dalla contessa Giulia sua nipote. Conviene notare che l’Alvise, padre di Giuseppe Duodo, era un israelita divenuto cristiano il 7 aprile 1743, e chiamato prima Mandolino Scaramella. La famiglia Scaramella abitava in Codroipo e vi teneva banco fino dal 1625; ma, secondo quanto riferisce il molto reverendo attuale arciprete di Codroipo, quella famiglia teneva negozi anche a Venezia. Così un Abramro Scaramella, con testamento del 28 febbraio 1625, ordinava ai figli di trasportare il suo corpo a Venezia, mentre lasciava un capitale di cento ducati per un legato a favore dei poveri di Codroipo.

Giuseppe Duodo, dopo avere compiuto studi di matematica e di nautica, entrò nella marina da guerra veneta, che, se non era piú quella formidabile e temuta dei tempi gloriosi della guerra di Chioggia, della battaglia di Lepanto, delle lotte di Candia, manteneva però sempre alto il prestigio della Serenissima Repubblica, come dimostrò Angelo Emo, capitano straordinario delle navi, nella guerra sostenuta nel 1785-86 contro i Tunisini.Giuseppe Duodo trascorse gli anni della giovinezza, viaggiando a lungo, sui legni della Repubblica; e nel 1792, lo troviamo primo pilota su quella superba nave denominata “Fama”, che fu l’ammiraglia di Angelo Emo, e che, nel 1792, trasportava a Venezia la salma del grande capitano.

Giuseppe Duodo passava, sempre col grado di primo pilota, sulla nave “Vittoria, e il 24 gennaio 1797 veniva elevato al comando della nave “Gloria Veneta, fregata a due ponti, costruita da Andrea Chiribiri e varata nell’arsenale, il 27 maggio del 1794.

Caduta Venezia, nel 1797, sotto la dominazione austriaca, per il turpe mercato di Campoformido, il Duodo passò, con gran parte degli ufficiali e degli equipaggi veneti, nella marina absburgica, dove gli fu conferito il grado di tenente di vascello.

Purtroppo, la marina veneta era stata quasi del tutto distrutta dai Francesi, durante l’effimera municipalità provvisoria di Venezia; furono mandati a Tolone i navigli adoperabili e sfasciati i vecchi, i piú logori. Né l’Austria diede, nel settennio del suo primo dominio a Venezia, grande impulso alla marina da guerra, cosicché assai pochi furono i legni costruiti nel celeberrimo Arsenale in quel periodo.

Una nuova vita invece venne infusa alla marina allorché le provincie venete furono aggregate al Regno Italico, in conseguenza della pace di Presburgo, del 26 dicembre 1805. Nell’Arsenale trovarono lavoro tremila e cinquecento operai, si demolirono alcuni vecchi cantieri, si fabbricarono nuovi scali di pietra, si aprì una nuova sortita di mare, e si costruirono parecchie navi da guerra, sia per il Regno Italico, sia per l’Impero francese.

Le squadre navali erano in continuo, direi quasi febbrile movimento nell’Adriatico, sia per mantenere il dominio di quel mare, di cui la Repubblica di Venezia aveva dimostrato nei secoli l’importanza strategica e commerciale, sia per assicurare il blocco continentale stabilito da Napoleone contro l’Inghilterra.

Avvenivano anche, contro i legni nemici, piccoli scontri, nei quali si distinguevano, per virtù militari e marinaresche, i giovani ufficiali veneti. In quel periodo di operosità intensa e bellicosa per la marina italica, si segnalò Giuseppe Duodo, che era passato, per la pace di Presburgo, al servizio napoleonico.

Così, nel 1806, troviamo il valoroso marinaio friulano nelle scorrerie compiute dal brigantino Orione, quindi si trasferisce al comando dell’ ”Aquila”, vecchia corvetta veneziana, poi della “Principessa Augusta”, ed infine, nel 1810, della “Bellona” una corvetta da seicento e novantadue tonnellate e trenta cannoni, costruita a Venezia sui piani dell’ingegnere Tupinier e varata il 27 aprile 1807. Fu appunto a bordo della “Bellona”, che rifulse l’altissimo eroismo di Giuseppe Duodo. Nel 1810 gli Inglesi, ai quali il blocco continentale recava un grave danno nei traffici, tentavano con ogni sforzo e con implacabile tenacia di rovinare, nell’Adriatico, l’influenza francese.

Le loro navi guerresche si presentavano qua e là sulle coste d’Italia, sbarcando agenti di malcontento e di rivolta.Il comando delle forze marittime inglesi era riuscito a stabilire, nella piccola isola di Lissa, una specie di ben munita base di operazioni per scatenare le scorrerie sui porti dell’Adriatico, e di stazione di deposito per le merci di contrabbando e per le prede belliche. Il viceré d’Italia, Eugenio Beauharnais, obbedendo alle direttive ed alle istruzioni che con serrata frequenza e con cura meticolosa gli mandava Napoleone Iº, deliberava nell’autunno di quell’anno 1810 di distruggere la pericolosa base nemica.

L’operazione fu apparecchiata con grande diligenza, in ogni particolare; e ne venne affidato lo sviluppo ed il comando al capitano di vascello francese Bernardo Dubourdieu, da Baiona” da poco giunto in Italia dal porto militare di Tolone, ed ufficiale tenuto nella più alta considerazione dall’ imperatore.

Questi, scrivendo ad Eugenio, il 13 ottobre 1810, osservava: “Siccome il capitano Dubourdieu è intraprendente ed ambizioso non bisogna spronarlo: bisogna lasciargli la briglia sul collo”. Il 19 ottobre 1810 partí da Ancona una piccola squadra navale, composta delle fregate francesi “Favorita”, (comandata dal capitano La Meillerie), “Urania” (comandante Margolet), dalla fregata italiana “Corona” (comandata dal capitano di fregata Nicolò Pasqualigo, della gloriosa famiglia patrizia veneziana e giá sopracomito della Repubblica Veneta), dalla corvetta “Bellona” (comandata dal nostro Giuseppe Duodo), dalla corvetta “Carolina” (capitano Rodriguez) e dai brigantini “Mercurio”, (comandato dal capitano Palicuccia) e “Iena” (comandato da quel capitano Giovanni Buratovich di Flaggentreu, che assumerà poi, nel 1848, il comando della porzione della flotta rimasta, purtroppo, a Pola agli ordini dell’Austria, e morirà quale ammiraglio a Trieste, il 29 agosto 1849).

Sulle navi della piccola squadra franco-italiana trovavasi, come truppa di sbarco, un battaglione del 3º reggimento di linea italiana, agli ordini del valoroso colonnello Alessandro Gifflenga, di Vercelli, aiutante di campo del viceré, e che diverrà poi generale dell’esercito sardo.

Il 22 ottobre tre navi della squadra, ossia la “Favorita” la “Corona”, e la “Bellona”, quest’ultima comandata come sappiamo da Giuseppe Duodo, penetrarono di sorpresa nel porto di San Giorgio di Lissa, sbarcandovi le truppe del colonnello Cifflenga, impadronendosi di numerosi bastimenti mercantili e incendiandone altri. “Prendemmo cosi scrive il comandante Dubourdien, nel rapporto da lui redatto intorno a quell’operazione il 26 ottobre trenta navi, di cui dieci sono maguifiche corsare, con 100 cannoni, il resto (si trovavano nel porto oltre 600 legai, provenienti da catture) lasciammo preda alle fiamme. Le truppe di sbarco si impadronirono dell’ isola senza resistenza; e il presidio inglese fu fatto prigioniero.

Dopo quell’impresa, la squadra del Dubourdieu ritornò ad Ancona; ma Napoleone non fu soddisfatto dei risultati dell’operazione, ed il 4 novembre scriveva al viceré Eugenio dispiacergli che non si fossero catturate anche le altre navi corsare e fatti prigionieri duecento Inglesi, rifugiatisi nelle montague, e che non si fossero lasciati nell’ isola almeno 600 soldati con alcuni cannoni, che avrebbero preso tutti i militari inglesi, armato il porto e mantenuto il possesso di Lissa.

Aggiungeva ch’egli riteneva l’operazione di Lissa come una prova della marina italiana.In una nuova lettera, del 2 febbraio 1811, Napoleone ordinava ad Eugenio di procedere all’occupazione dell’isola di Lissa, ed emanava, per questa impresa, accurate disposizioni. Pertanto Eugenio si adoperava ad apparecchiare, quanto più diligentemente gli fosse possibile, la seconda spedizione di Lissa, affidandone ancora il comando al Dubourdieu. La stima che anche Eugenio sentiva per quella ufficiale della marina francese era tale che egli non mancava di esaltarne i meriti nelle lettere all’Imperatore, ed il 13 marzo 1811 lo proponeva per la promozione a contrammiraglio.

Ma, sventuratamente, il prode marinaio non poté mai ottenere l’alto grado, perché, appunto il 13 marzo, egli lasciava gloriosamente la vita nelle acque della funesta Lissa, nell’episodio che andiamo raccontando. L’11 marzo una divisione navale franco-italiana salpava da Ancona, facendo rotta su Lissa. Era composta dalle fregate francesi “Favorita” nave ammiraglia del Dubourdieu, “Flora, “Danae, comandate complessivamente dal capitano di vascello Péridier, che più anziano nel servizio militare del Dubourdieu, malvolentieri si sottometteva ai suoi ordini, come si apprende dalla menzionata lettera del 13 marzo 1811 di Eugenio a Napoleone; dalla fregata italiana “Corona, sempre comandata dal Pasqualigo, dalle corvette “Bellona (capitano Duodo), “Carolina, dal brigantino “Augusta” dalle golette “Principessa di Bologna, e “Lodola”, e dallo sciabecco “Eugenio, Anche questa volta sulle navi salirono truppe di sbarco appartenenti al 3º reggimento fanteria, agli ordini del colonnello Gifflenga. La squadra contava 298 cannoni, 2055 marinai, 600 uomini di truppa di sbarco. Le prime tre navi battevano la bandiera di Francia, le altre il fatidico tricolore, insegna del Regno Italico.

All’albeggiare del 13 marzo la squadra, agevolata da un buon vento spirante da ponente, pervenne in vista dell’isola di Lissa, dal lato del porto San Giorgio, Presso l’isola incrociava una squadra inglese, comandata dal commodoro Guglielmo Hoste, composta delle fregate “Cerberus” “Aufione” “Belpoul” e del brigantino “Volage”… Era armata da 124 cannoni ed aveva a bordo 869 marinai, Gli Inglesi, appena avvisato il naviglio franco-italiano, considerando l’inferiorità delle proprie forze in confronto di quelle nemiche, iniziarono un movimento di ritirata.

Il colonnello Gifflenga dimostró allora al Dubourdien l’opportunità di approfittare dell’allontanamento della squadra inglese, per sbarcare le truppe a Lissa e, distrutti gli stabilimenti militari, impadronirsi dell’isola. Ma il Dubourdien, ardendo dalla bramosia di riportare una bella vittoria navale, decise di dare la caccia subito alle navi nemiche, riservandosi di ritornare e approdare a Lissa, dopo la agognata distruzione della squadra inglese. Il Dubourdieu, disposte le sue navi in due colonne parallele, come aveva fatto Nelson alla battaglia di Trafalgar, si lanció sul nemico, coll’intento di tagliarne l’ordinanza. Ma nella manovra l’ardimentoso comandante francese forzó tanto di volte colla “Favorita, che era la nave più agile e più veloce, che egli, seguito da vicino soltanto dalla “Flora” buona veliera anche essa, e quindi dalla “Bellona” si trovò in prossimità delle navi inglesi.

Il commodoro Hoste, avvedutosi prontamente, dell’errore del nemico, arrestò il movimento di ritirata, e, strette le sue fregate in serrato ordine di battaglia, diede addosso alle sopraggiungenti navi avversarie, con un poderoso fuoco di artiglieria. Il Dubourdieu tentare l’arrembaggio dell’ “Anfione”, la nave ammiraglia del commodoro Hoste; ma i proiettili nemici di quelle cannonate da 68 con le quali, da qualche anno, gli Inglesi usavano guarnire il castello di prora, e nelle quali il valoroso ammiraglio Nelson riponeva somma fiducia, infransero un albero di trinchetto ed il timone della “Favorita”, ed uccisero il Dubourdieu. La “Favorita” rimasta senza governo, andò ad incagliarsi sugli scogli, che affiorano all’ingresso della vasta insenatura del porto di San Giorgio, presso un isolotto, che ancora oggi, in onore del commodoro inglese, porta il nome di Hoste.

Il colonnello Gifflenga si affrettò a sbarcare, per mezzo delle scialuppe di bordo e di alcune barche peschereccie requisite, la propria fanteria, incendiando contemporanea-mente l’avariata “Favorita” affinché questa nave non divenisse preda degli Inglesi.

Frattanto la battaglia si snodava in combattimenti isolati, nei quali rifulgeva il valore italiano, sulla nave “Corona” il comandante Pasqualigo si difese eroicamente per alcune ore, tra il fuoco delle artiglierie inglesi, delle fregate “Cerberus” e “Belpoul” soltanto quando, al tramonto della tragica giornata, il Pasqualigo constato che i due terzi dell’equipaggio erano stati uccisi o feriti, le artiglierie ridotte inservibili, egli stesso ferito e la nave in procinto di affondare per un incendio scoppiato a bordo, decise di ammainare la bandiera ed arrendersi.

Sulla “Bellona”, il comandante Duodo manifestò il più sublime eroismo; all’inizio del combattimento aprì il fuoco contro la nave ammiraglia inglese, che dopo aver posto fuori di combattimento la “Favorita” concentrò i tiri di tutte le artiglierie sulla “Bellona. Il Duodo, colpito da una palla di cannone, che gli spezzó le gambe, si fece appoggiare all’albero di maestra, non curando il dolore intenso delle ferite, reso piú atroce dal calore insopportabile di un incendio, che divampava sotto coperta.

Il valoroso Friulano, con due pistole alle mani, continuò per oltre mezz’ora ad incitare alla lotta i marinai, che chiamava “suoi figli” e che, coi nemici, ammiravano frementi una così alta prova di intrepidezza. Infine, essendo rimasti uccisi, a bordo della “Bellona”, settanta fra ufficiali e marinai, feriti moltissimi, passato da banda a banda lo scafo, la nave ammsinó la bandiera e il Duodo, quasi agonizzante, fu catturato dal nemico.

La “Flora”, la “Carolina”, la “Dunae” gravemente danneggiate, così da richiedere due mesi di riparazioni, come si rileva in una lettera di Eugenio a Napoleone del 24 aprile 1811, potevano mettersi in salvo, nella vicina isola di Lesina, mentre la “Principessa di Bologna” la “Lodola” e lo sciabecco “Eugenio”, riuscirono a riprendere a bordo il presidio del colonnello Gifflenga, il quale, nel frattempo, aveva distrutto le opere inglesi dell’isola, Quindi queste tre ultime navi ritornarono ad Ancona. Giuseppe Duodo fu trasportato dagli Inglesi a Lissa, dove visse ancora tre giorni.

Al valoroso ufficiale furono tributate cavallerescamente, dai nemici, solenni onoranze funebri, ed il commodoro Hoste mandò alla famiglia del defunto il di lui cappello e la spada. Anche a Venezia si fecero, il 26 marzo, non appena pervenuta la notizia della battaglia di Lissa, cerimonie funebri in onore dei gloriosi caduti; e per tale lutto vennero sospese riferisce il Cicogna nei suoi Diarii le festività per la nascita del re di Roma.

Il comandante Pasqualigo fu tradotto prigioniero a Malta. Tuttavia gli Inglesi manifestarono la piú fervida ammirazione per il prode ufficiale veneto, lasciandogli, a titolo d’onore, la spada. Egli fu poi restituito a libertà, nel luglio del 1811, ed in tale circostanza l’imperatore lo nominava capitano di vascello e gli affidava il comando della grande nave “Rigeneratore” uscita, in quei giorni, dall’arsenale di Venezia. Le virtú militari e marinaresche dimostrate dagli ufficiali e dai gregari italiani nella prima battaglia di Lissa, commossero la ispirata fantasia e l’anima fervida del poeta Lord Byron, che, nelle note al Marin Faliero, scrisse nobilissime espressioni di lode per i prodi che nel memorando episodio adriatico onorarono il nome della patria, e la rivelarono degna di assurgere a quella nazione libera e grande, che è oggi.

La “Bellona” la nave comandata dall’eroico nostro Giuseppe Duodo, fu catturata dagli Inglesi, che ne fecero un legno onerario, cambiandole il bel nome marziale in quello di “Dover”. Ma l’imperatore, a ricordo del valore dimostrato a Lissa dai nostri marinai, e segnatamente dal Duodo, ordinò che venisse costruita nell’arsenale di Venezia una nuova fregata col nome di “Bellona”.

Gli Austriaci, ritornando a Venezia, nel 1814, mantennero il nome alla nave, che, prima del 1840 era posta fuori di servizio, e veniva sostituita con una nuova “Bellona” allestita dal 1840 al 1842, sotto la direzione dell’allora capitano del genio navale, Giacomo Cocconi. Su quella nave si trovava imbarcato, nel 1844, Attilio Bandiera, che nella notte sul 29 febbraio abbandonava la “Bellona” e la squadra austriaca, ancorata nelle acque di Smirne, per lanciarsi nell’ardimentosa, patriottica impresa, coronata poi il 25 luglio dal sublime martirio nel Vallone di Rovito.

Così il nome di “Bellona”, associa, in una sola fulgida rievocazione, le grandi figure storiche di Giuseppe Duodo e di Attilio Bandiera, che col sacrificio eroico della vita rivelarono, in tempi oscuri e dolenti, come gli Italiani sapessero combattere e morire per la patria, aprendole la via ai piú alti destini.

Presento i più fervidi ringraziamenti a monsignor Manzano, arci-prete di Codroipo, al conte della Porta, al Comandante conte Nani Mocenigo, conservatore del Museo Storico Navale di Venezia, al comm. dott. Ricciotti Bratti, direttore del Civico Museo Correr di Venezia, al conte Andrea da Mosto, del R. Archivio di Stato di Venezia, al comm. dott. Giuseppe Biasutti, al dott. Gio. Batta Corgnali, della Biblioteca Civica di Udine, per le cortesi e dotte notizie fornitemi sulla vita e sullo stato di servizio del comandante Giuseppe Duodo.

Autore: Girolamo Cappello

Fonte: opac.rivistefriulane.

Categorie: Moderna Campagne Battaglie

Tag: Napoleonic Wars (1797-1815) English Navy Battleship Battle of Lissa (1811)

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