13 minuti
Una storia militare tra XI e XII secolo
I Normanni (dal francese antico “uomini del nord”) erano i sovrani di quella che inizialmente era conosciuta come pagus Rotomagensis, la contea di Rouen nel Nord della Francia.
Concessa ai predoni scandinavi guidati da Rollone (Hrólfr) di Norvegia nel 911 circa dal re carolingio della Francia occidentale Carlo III (r. 898-922), i primi conti estesero sempre di più i loro confini e, al tempo del regno del quarto, Riccardo II (r. 996-1026), la contea ampliata di Rouen si era ormai trasformata nel ducato di Normandia (Norsmandie o per l’appunto terra degli uomini del Nord). Il popolo che governavano, tuttavia, parlava la forma più antica della lingua francese moderna, il dialetto settentrionale poi conosciuto come langue d’oïl.
Nel giro di qualche generazione e per l’anno 1000 gli ex-nuovi arrivati avevano assimilato ormai religione, costumi e lingua dei Franchi.
Il nostro focus verterà principalmente nell’analizzare e discutere le tattiche, gli armamenti, l’organizzazione e il modo di condurre le guerre di questo feroce popolo Nordico.
Per fare ciò bisogna necessariamente partire dal capostipite: Rollone (o Rollo) e la sua armata d’invasione.
Nelle regioni d’origine, ovvero Scandinavia e Norvegia per la maggior parte, i guerrieri al suo seguito combattevano principalmente come fanteria appiedata, utilizzando una grande varietà di armi come spade, (forse) giavellotti, asce, si proteggevano con scudi rotondi, elmi e (gli aristocratici) cotte di maglia. Va fatto notare che non avevano cavalleria.
Analizzando la prima battaglia combattuta tra Franchi Carolingi e Rollo fu nei pressi di Chartres nel 911 e dalla descrizione che ci riporta Dudo di Saint-Quentin, il principale cronista delle gesta dei Normanni dell’epoca, possiamo evincere come le truppe a disposizione del vichingo fossero principalmente fanteria.
Se spostiamo in avanti la lancetta del tempo e arriviamo al 962, durante la battaglia di Saint-Sever contro il conte Teobaldo di Blois, le forze Normanne erano composte già anche da forze di cavalleria, che combattevano secondo la maniera Bretone-Franca.
Il metodo d’impiego era composto da due fasi principali: prima piccoli gruppi cercavano di creare aperture o falle nello schieramento avversario, lanciando giavellotti; poi una volta individuato il punto critico dove colpire altri piccoli gruppi di cavalieri si lanciavano a spada sguainata in formazione serrata contro il nemico vacillante. Sarà questa stessa tattica a venire riproposta nelle future conquiste, andando col tempo a migliorarsi e rifinirsi.
I maggiori responsabili della progressiva espansione normanna lungo il Mediterraneo nei secoli successivi (tra le quali il Sud Italia, in Sicilia e Siria) provenivano quasi esclusivamente dalla potente famiglia degli Hauteville, del cui capostipite, Tancred, purtroppo poco si conosce.
Questi erano figure che potevano essere sia esiliati politici sia figli privati di provenienti da patrimoni relativamente modesti. Come altri Tancred era semplicemente un sottoposto al servizio del duca di Normandia, colui che in futuro sarà ricordato come Guglielmo ‘il bastardo-conquistatore’ del trono d’Inghilterra nel 1066.
Con il progredire del tempo e l’aumentare dei territori conquistati si aggiunsero molti più tipi di truppe a disposizione dei comandanti, che vennero denominatiservientes: tra essi possiamo distinguerepedites di fanteria leggera quali arcieri con arco lungo, balestrieri (arbelestier) e mazzieri, e quelli di fanteria pesante, armati di cotta di maglia, scudo a mandorla, giavellotti, lance, spade o asce; erano tipicamente reclute Longobarde o Latine, ma anche mercenari nord Italici o Africani (Berberi, Arabi o Africani stessi).
Non mancavano piccoli reparti di picchieri, spesso reclutati tra le popolazioni fiamminghe del Nord della Francia attuale. Spesso una banda era rimpinguata anche da volontari locali (rizico) che si aggiungevano durante una campagna in corso per far bottino o numero.
Particolarmente apprezzati erano i reparti di arcieri e cavalleggeri Saraceni. I più coraggiosi tra la milizia delle città costiere conquistate potevano anche essere tramutati in cavalieri all’occasione.
Dai possedimenti della Chiesa potevano provenire soldati a cavallo, così come soldati Romani di feudi del Sud disertori o già fedeli ai capi Normanni erano estremamente ben accetti.
Dopo l’esperienza nella prima crociata l’uso combinato di cavalleria e fanteria divenne la norma, evolvendosi e permettendo ad un comandante di adattare lo schieramento in diverse formazioni a seconda del nemico affrontato; peculiare il fatto che i più abili generali Normanni quali Roberto ‘la volpe’ (Il Guiscardo) e suo fratello Ruggero d’Hauteville riuscirono a divenire dei veri maestri nell’uso della riserve tattica e soprattutto della simulazione di una ritirata per attirare gli avversari in posizioni vulnerabili combinando azioni coordinate tra fanti e cavalieri.
La carica frontale a ranghi serrati ebbe il suo sviluppo solamente dal secolo successivo, venendo implementata come una specifica tattica anti-cavalleria.

Grazie alle molte (e spesso rovinose) esperienze sui campi desertici durante le varie spedizioni armate condotte nel Medio-Oriente, venendo glorificata e alimentata psicologicamente e socialmente grazie ai romanzi cavallereschi e agli epici poemi contemporanei, questa forma specialistica di combattimento prese sempre più piede tra i ranghi dei cavalieri: la lancia iniziò ad allungarsi fino ad arrivare ai 4m circa di lunghezza, enfatizzandone la portata ed il peso. Tuttavia l’aumento di dimensioni ne presupponeva l’impiego sottomano, tenendola ben salda ancorata all’ascella, se non con entrambe le braccia, per poter riuscire a caricare efficacemente senza sbilanciarsi contro altri cavalieri.
Questo modo di portare l’arma era chiamato infatti lance couchée. Pensiamo alle tre cariche devastanti lanciate da Riccardo Cuor di Leone durante le fasi finali della battaglia di Arsuf nel 1191 contro il Saladino.
Per poter lanciare questo tipo di attacchi in profondità in una battaglia gli aspetti che assumevano un ruolo di fondamentale importanza erano la coesione e la cooperazione tra i singoli reparti.
Analizziamo più nello specifico come venivano ripartiti gli uomini in arme al momento della chiamata per la guerra.
L’unità basilare era denominata conrois ed era costituita da piccoli reparti amministrativi di circa 20-30 uomini (ma anche fino a 40) a cavallo.
Tra questi i nobili (chiamati milites) erano i veri e propri soldati: il sistema Normanno era di tipo feudale, per cui un giovane aspirante veniva addestrato sin da piccolo alla battaglia e a 16 anni, partecipando alla cerimonia d’investitura dal re in persona, veniva ufficialmente introdotto nell’Ordo milites, la confraternita dei cavalieri a sostegno della Chiesa Romana.
Veniva scelto tra questi un capitano, eletto grazie all’esperienza acquisita sul campo per guidarli in battaglia; per esercitarsi e mantenere prestanza, riflessi e prontezza fisica erano assistiti da un addestratore (magister bellum), e infine vari cavalieri al seguito degli aristocratici, definiti indistintamente juvenes o scudieri o armigeri, svolgevano tutte quelle mansioni di bassa manovalanza.
Una compagnia era composta da circa 25-80 uomini, ed era comandata da un nobile o capo (comes) e costituiva una batailles.
Molte di esse raggruppate assieme andavano a formare la banda da guerra (warband) vera e propria, solitamente al servizio del connétable, il comandante supremo delegato dal Re.
In seguito si evolverà nelle familiae di nobili minori possedenti appezzamenti di terreno.
Tutti assieme costituivano una forza di professionisti della guerra, che cavalcavano a seconda dell’occasione a ranghi serrati o in formazione sparsa o anche appiedati, guidati da un portabandiera.
I veterani molto spesso erano parte integrante del seguito personale dei nobili a capo, oltre a diventarne i comandanti in seconda, ciascuno con il proprio scudiero, dopo aver ricevuto un pezzo di terra come feudo personale.
Perché una carica avesse successo era necessario che tutti i suoi partecipanti arrivassero a contatto insieme, in una formazione fitta e avanzando senza fermarsi, di slancio. Non sempre riusciva, ma i cavalieri erano in grado di ripiegare e organizzarsi nuovamente. Per questo tenere truppe di riserva divenne sempre più pratico e buona norma di un abile comandante.
Pensiamo alla battaglia di Hastings quando i cavalieri Normanni dopo aver attaccato il muro di scudi anglo-sassone si girarono e fecero finta di scappare per creare dei varchi nella loro quasi impenetrabile formazione. Ma questo tipo di tattica era già conosciuto e applicato dai cavalieri di Carlo Magno.
Contro fanterie pesanti invece veniva più spesso impiegata la tecnica sopra mano, come un giavellotto, alla vecchia maniera Bretone.
Nel più ampio contesto della battaglia questo era anche il metodo più efficace per mantenere gli uomini coesi e uniti, dato che un esercito spesso era poco se non per nulla addestrato e senza alcun tipo di spirito di corpo, che al contrario nella classe nobiliare di certo non difettava.
Nella prima metà del XI secolo lo status di un milites era ancora relativamente basso, ma la nascente letteratura cavalleresca iniziava a fissarne ed influenzarne la mentalità e posizione sociale, elevando concetti come il dovere ed il servizio verso il proprio signore, permettendogli di attingere a un bagaglio psicologico più “elevato” rispetto ad un comune miliziano o un popolano analfabeta; erano i prodromi della codificazione di un modello comportamentale unico, pratico e violento ma allo stesso tempo spirituale e idealistico. Infatti sarà solamente dopo la metà del secolo che il concetto di nobiltà iniziò ad essere sempre più associato alla figura del cavaliere, andando con il tempo a creare un connubio quasi indissolubile. Specialmente grazie ai romanzi del ciclo arturiano del secolo successivo, dove il comportamento da tenere a corte assumeva i connotati delle virtù cortesi, nuovi valori andarono ad aggiungersi all’etica cavalleresca, contribuendo fortemente a creare quel sentimento di appartenenza ad una ristretta cerchia di uomini d’élite sempre più consapevoli di stare formando un nuovo ordine sociale ben distinto.
Parlando più nello specifico del cavaliere e delle sue cavalcature possiamo individuarne i principali tipi.
Il destrier (così chiamato perché condotto con la mano destra, cioè quella fidata secondo le convenzioni sociali dell’epoca), era il più robusto e potente e perciò meglio adatto al campo di battaglia: uno stallone di altezza compresa tra 1,50-60 circa dal petto largo e dorso corto, selezionato specificamente per sopportare al meglio il peso del cavaliere armato di panoplia completa durante la carica; erano alcuni dei migliori d’Europa, garantendo buona combinazione tra forza, velocità e resistenza.
Il courser era quello impiegato sulle lunghe distanze e per viaggiare.
Infine il rouncey era adibito al trasporto dell’equipaggiamento ed era spesso la monta dei servitori.
L’arma principale di un cavaliere era la lancea, costruita in frassino e melo, di oltre 2m provvista di pennacchio. Per la difesa personale, specialmente dopo l’anno 1000, gli scudi più diffusi erano quelli di tipo a mandorla, spesso decorati con un simbolo personale: erano di derivazione Romana, avevano una cinghia per essere trasportati a tracolla, e altre due “impugnabili” con angolazioni diverse, in modo da poter essere tenuti sia in verticale che in orizzontale, il cosiddetto sistema “a chiasmo”.
Questa versatile configurazione consentiva al guerriero di liberare la presa della mano sinistra per tenere le redini o persino per impugnare la lancia con entrambe le mani, che come abbiamo visto sarà il metodo preferito per condurre la carica.
Innovazione fondamentale fu la sella, che permetteva al cavaliere di mantenersi in equilibrio riuscendo a colpire il nemico e soprattutto di non essere a sua volta disarcionato e catturato.
Venne sviluppata proprio in funzione delle nuove tattiche che i Normanni mano a mano stavano sviluppando: essa era alta e avendo le corregge delle staffe molto lunghe ciò permetteva al cavaliere di stare dritto, quasi in piedi, mantenendo il bacino stabilmente chiuso nell’arcione e concentrare il suo peso nel colpo. Nell’Arazzo di Bayeux sono ben visibili.
Sul capo portavano elmi conici, provvisti o meno di nasale, mentre per la protezione corporea le armature potevano essere di vario tipo: giubbotti imbottiti (aketon) o altre protezioni in materiale tessile erano molto efficaci per attutire danni da botta o taglio.
I milites si proteggevano con una corazza di anelli di ferro (hauberc): essa comprendeva un cappuccio di maglia, fissato all’armatura che, in alcuni casi, arrivava fino alle ginocchia. Specialmente a partire dal 1100 alla protezione si aggiunsero dei pantaloni in maglia, con la giuntura all’inguine in pelle per facilitare i movimenti e la cavalcata. I nobili di rango elevato potevano permettersi anche un’armatura a lamine di ferro, mutuata da Avari e Romani (klivanion).
Come arma per il corpo a corpo il cavaliere era provvisto di spada (anche classificata appunto come “Normanna”) a doppio filo, lunga ca 90cm, e una mazza o ascia per lo spacco.
Ultimo tassello della componente militare da considerare è la logistica: in base a quanto abbiamo detto sinora essa doveva per forza di cose tener conto di permettere di imbarcare cavalli addestrati alla guerra per poterli avere sempre a disposizione durante una campagna, assieme ai viveri, alle armi ed armature e ai vettovagliamenti; si iniziarono quindi ad utilizzare navi appositamente modificate per il loro trasporto.
Per quanto fossero già utilizzate in epoca classica da Fenici, Persiani e Greci con il nome di hippàgos (ne ho parlato nel mio precedente articolo), nel periodo preso in esame i Normanni ne vennero a contatto probabilmente a seguito delle prolungate campagne contro Romani ed Arabi nel Sud-Italia, e notata la loro efficacia le introdussero stabilmente nella propria flotta dopo la metà del XI secolo, quando aumentarono le spedizioni oltremare.
Erano chiamate huissiers (dal francese antico huis = “porta”) tutte quelle navi da trasporto capaci di imbarcare cavalli: erano leggere, con ponte ribassato o apribile sul fianco o sulla prua, che consentiva il carico/scarico degli equini, l’imbarco di piccoli contingenti di cavalleria ed il loro sbarco relativamente rapido e spesso sfruttando l’elemento sorpresa durante uno scontro in campo aperto.

Andando a scovare nelle fonti dell’epoca ce ne parla principalmente Guglielmo di Poitiers nel suo Gesta Guillelmi: egli descrive la flotta destinata alla spedizione del 1066 contro i Sassoni in Inghilterra. Non usa però il termine huissier, ma lo traduce in latino come naves equitatus ferentes, cioè navi capaci di portare cavalli.
Il loro utilizzo ci è inoltre confermato ulteriormente dai testi francesi del XII secolo in cui il termine compare per indicare molte delle navi che portarono i cavalieri di Guglielmo.
Durante le campagne nel Sud Italia le fonti Arabe parlano frequentemente di trasporto della cavalleria normanna, dell’uso di imbarcazioni leggere adattate allo sbarco rapido e spesso della cooperazione con flotte locali (Romane), che fornivano navi più grandi.
Il primo riferimento scritto invece lo si trova nel Roman de Rou di Wace: il termine uissier / huissier viene utilizzato per indicare navi deputate al trasporto di cavalli, ben distinte dalle navi da guerra vere e proprie.
Se analizziamo i documenti amministrativi anglo-normanni il termine huissier compare più chiaramente, specialmente per indicare quelle navi delle flotte francesi e angioine che portavano le armate europee in Terrasanta, essendo ormai aumentata la componente montata degli eserciti dell’epoca, rendendo queste imbarcazioni parte fondamentale della logistica.
Autore: Bizzari Nicolò
References:
A.Frediani ‘le grandi battaglie del Medioevo’, Newton Compton Editori, ed.2006.
E.Valentini ‘le grandi battaglie delle crociate’, Newton Compton Editori, ed.2016.
M.Cappelli ‘quando Venezia distrusse l’Impero Romano’, Solferino, ed.2025.
L.Verzola ‘i guerrieri della Terra di Mezzo: Rohirrim’, OWL, ed.2024.
R.D’Amato, A.Salimberti ‘i Normanni in Italia: 1016-1194’, LEG Edizioni, ed.2023.
J.J.Norwich, ‘I Normanni nel Sud: 1016-1130’, Sellerio editore Palermo, ed.2021.
P.Hill, ‘Norman Commanders. Masters of Warfare: 911-1135’, ed..
G.Esposito ‘Armies of the Normans: 911-1194’, Pen & Sword, ed.2024.
R.Jones ‘Cavalieri: i guerrieri d’elite dell’Europa medievale’, LEG Edizioni, ed.2012.
Per approfondire:
ricostruzione storica in animazione 3D
serie di video introduttivi basati sulle fonti dell’epoca
I “Conrois” le unità tattiche della cavalleria franco-normanna. Articolo di Storiamilitaremedievale.it
Categorie:
Tag:

Lascia un commento