L’esercito romano tardo-antico

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Organizzazione, struttura, tattica ed equipaggiamento

Quello che spesso definiamo come riforma dell’esercito romano tardo-antico, indicativamente nel periodo che va dal regno di Settimio Severo sino alla ‘caduta’ della pars Occidentis nel 476 ad opera di Odoacre, è da ascriversi ai profondi mutamenti avvenuti a seguito delle guerre Marcomanniche di Marco Aurelio sul finire del II secolo d.C. A breve distanza di tempo lo stesso Severo aveva sperimentato un approccio fuori dagli schemi quando aveva contribuito al reclutamento e creazione delle sue nuove tre legioni Parthica, favorendo ufficiali e comandanti provenienti dalle aree della Pannonia e Illiria, che sin dall’epoca di Augusto fornivano eccellenti militari.

Nel lungo periodo questo portò alla formazione di una vera e propria classe militare elitaria interna al sistema di reclutamento degli ufficiali dell’esercito Romano, che raggiungerà il suo culmine sotto Diocleziano e sarà la struttura portante della nuova armata imperiale tardo-antica.

La nostra analisi prende in esame il periodo più tremendo e caotico di tutta la storia Romana, la cosiddetta ‘anarchia militare’ del III secolo d.C.: dopo l’estinzione della dinastia Severiana nel 235 con l’assassinio di Alessandro Severo gli imperatori (o usurpatori che fossero) erano principalmente impegnati nella difesa dei confini e nel cercare in tutti i modi di tamponare le falle createsi nel sistema di proiezione-controllo del limes contro le grandi invasioni di neo-costituite confederazioni di popoli germanici: Franchi, Alamanni, Goti faranno tremare le armate di Roma e la sicurezza stessa del territorio Romano, minacciato sempre più in profondità in zone da secoli ritenute sicure e pressoché irraggiungibili dai barbari.

Nuovi problemi richiedono nuove soluzioni, ci si rende conto che la struttura militare concepita da Augusto non è più sufficiente per fermare efficacemente gli agguerriti avversari ma, a causa di sconfitte rovinose e continui cambi di sovrani (spesso poiché morti in battaglia o uccisi da pretendenti alla porpora), solamente verso la metà del secolo si riescono ad attuare i cambiamenti necessari per la sopravvivenza stessa dell’impero.

Gallieno (254-68)

Durante il suo lungo regno l’imperatore modifica il sistema di comando delle legioni in atto, a più livelli:

  1. cessa di nominare i legati e tribuni di estrazione senatoriale e li sostituisce con prefetti dell’ordine equestre di sperimentata esperienza e capacità militare acquisita sul campo, gli agentes legati e i tribunis pro praetori, chiamati colloquialmente ducis exercitus.
  2. attribuisce ad alcuni di questi nuovi ufficiali il titolo di “protector” dell’imperatore stesso, per distinguere i più fidati ed inquadrarli nel nuovo sistema mobile che stava progettando.
  3. aumenta il numero dei cavalieri a 726; raggruppa assieme più unità di cavalleria in armatesotto un singolo comandante di frontiera scelto tra i locali, il praeposito equestris.
  4. nasce quindi il concetto di un’armata mobile di pronto intervento collocata in riserva in punti strategici sul fronte.

Diocleziano (284-305)

il Dominus illirico, dopo aver riportato stabilità interna ed esterna nel 284 completa e aggiorna quanto già in uso dai tempi di Gallieno:

  1. le armate al seguito dei tetrarchi prendono il nome di comitatus, simboleggiandone l’importanza acquisita come seguito dell’imperatore, mentre le armate di frontiera (chiamate in gergo ripenses o limitanei) sono stanziate in coppia per ciascuna provincia e sorvegliano le fortificazioni sul confine, coadiuvate da guarnigioni locali più piccole collocate in piazzeforti (burgi).

Le nuove unità prodromi dei futuri eserciti stabili di manovra sono gli Ioviani e gli Herculiani.

  • i distaccamenti di cavalleria e fanteria sono fluidi, venendo aggregati temporaneamente al comitatus ma spesso ritornando al loro luogo d’origine alla frontiera, ora ancora più stratificata e fortificata in profondità grazie ai castelli di nuova concezione eretti dal dominus.
  • regolarizza il servizio militare ereditario. Integra le truppe con la leva obbligatoria richiedendo ai proprietari terrieri il pagamento o in natura inviando reclute o di una cifra in denaro in mancanza di esse, abbassando i requisiti per l’arruolamento.
  • paga i soldati in razioni e salario (stipendium) istituendo una tassa statale.
  • crea un sistema di fabricae statali poste lungo i confini (e non solo), stabilimenti manifatturieri specializzati nella produzione di armamenti di ogni tipo, dagli scudi alle spade ai giavellotti, che rifornivano l’esercito.

Costantino (306-37)

Il Vincitore riunifica il potere imperiale nella sua persona, riuscendo a gestire in toto le risorse militari, avendo campo libero per modificare ulteriormente l’esercito, istituzionalizzando quanto fatto dai suoi predecessori:

  1. crea nuove unità d’élite, gli auxilia Palatina, tratte spesso dai laeti nella frontiera germanica, dal Reno, dalle terre spopolate in Gallia, composte da volontari o prigionieri di guerra e formano truppe scelte d’assalto. Famosi i Cornuti, Brachiati, Iovii e Victores.
  2. incorpora i distaccamenti legionari e di guarnigione delle frontiere nell’esercito mobile, i comitatenses, acquartierandoli in città ben fortificate lungo le linee di comunicazione e collegate ai vari forti minori sparsi lungo i limes. Essi sono mantenuti direttamente dai cittadini, per un terzo della loro abitazione, per legge. I soldati a presidio dei confini invece vengono identificati come limitanei, il cui compito è la salvaguardia contro le incursioni o la resistenza passiva in caso di vere e proprie invasioni su larga scala in attesa dell’arrivo degli eserciti mobili regionali. Questi ultimi erano composti ancora dalle antiche legioni acquartierate sul confine nelle epoche precedenti, comandate da praefecti e strutturate ancora sul modello delle unità alto-imperiali. Ad esse si affiancavano tutte quelle truppe composte da truppe distaccate da altre unità a loro volta trasferite e probabilmente in atto di formazione: i milites, i numeri, gli equites e cunei, le alae e cohortes
  3. Al comando degli eserciti mobili permanenti istituisce le cariche di magister militum e magister equitum, i comandanti di fanteria e cavalleria.
  4. Comites, generali di estrazione senatoriale promossi per esperienza e capacità militari già presenti sul territorio, potevano all’occorrenza assumere il comando di truppe mobili in campagna, o di guarnigioni limitanee. Nelle provincie raggruppate in distretti militari il dux limitis era in comando.
  5. L’imperatore comanda l’esercito in toto, perciò si definiscono praesentalis. Un metodo per assicurarsi contro possibili usurpatori o ribellioni di comandanti troppo potenti e per avere soldati fedeli ed esperti pronti ad intervenire al suo comando.

Sotto i successori di Costantino (337-378) la distinzione tra eserciti mobili di campagna e quelli praesentalis si accentua ancor di più: le unitàche vengono aggregate ad esso prendono l’aggettivo palatine, e rappresentano la maggior parte a disposizione degli imperatori. I distaccamenti trasferiti in diversi eserciti aumentano, arrivando ad incorporare anche i limitanei negli eserciti mobili in campagna. Nella pratica ogni unità sia di fanteria che cavalleria poteva essere mescolata in altri eserciti, formandone di tipologia mista a seconda del bisogno ma mantenendo il proprio status militare.

Le due cariche di comando vengono unificate nel magister militum, al comando dell’esercito in toto: chiamato praesentalis se al seguito dell’Augusto oppure patricius se avente responsabilità civili.

Teodosio (379-95)

Dopo la tremenda battaglia di Adrianopoli del 378 d.C. contro i Goti, l’imperatore è costretto a stipulare un feodus nel 382 d.C., vincolandoli a se, per poter ricostituire l’esercito della Tracia: in primis arriva a reclutare proprio i Goti che stavano imperversando nella provincia, come ogni buon imperatore romano ha sempre fatto.

Secundo il trattato permette ai Goti di installarsi entro i confini dell’impero, formalmente sotto l’imperatore ma di fatto indipendenti o quasi. Unico, vero obbligo: fornire all’imperatore guerrieri alleati che combattono però sottocapi barbari.

A seguito della ripartizione amministrativa del territorio imperiale tra i figli dell’imperatore molte legioni vennero ripartite, dividendosi tra seniores (per l’Augusto più anziano) e iuniores (per l’Augusto più giovane) o semplicemente a seconda dell’esperienza dell’unità: ad esempio se era veterana era detta seniores.

V secolo sino al 480 d.C.

I generali e alti ufficiali (Augusto compreso) necessitano di formare unità di guardie del corpo a cavallo, i bucellarii (dalla galletta costituente il loro rancio abituale), formate inizialmente da poche centinaia di uomini che stipulavano un patto di fedeltà con il proprio comandante; ma in progresso di tempo arrivarono anche ad avere migliaia di soldati al proprio seguito.

In quest’epoca il tipico soldato romano è un cavaliere-arciere, segno della mutata condizione del servizio, della scarsità di reclute, delle continue invasioni e devastazioni di confini e città, carestie e svalutazione della moneta.  Per la precisione, a farla da padrone sui campi di battaglia di questo periodo sono gli arcieri a cavallo (𝘩𝘪𝘱𝘱𝘰𝘵𝘰𝘹𝘰𝘵𝘢𝘪), che negli eserciti romani cooperano con i lancieri a cavallo o, spesso, sono armati sia di lancia che di arco. Dopo il tremendo e brusco scontro con gli Unni di Attila i Romani imparano e migliorano, adottandone la sella e l’arco riflesso ed equipaggiando i nuovi cavalieri imperiali. Tale sarà l’importanza di questo cambiamento che rimarrà sino al tempo di Maurizio.

La fanteria, nonostante rimanga prerogativa degli eserciti da campagna, è ormai appannaggio quasi esclusivo dei barbari.

Composizione delle unità e armamento

Una legione tardo imperiale e sino all’età di Giustiniano poteva essere composta da 1000 a 2000 uomini, a seconda della necessità e delle privazioni di componenti, ma era principalmente basata ancora sulla fanteria pesante: essa era armata principalmente ancora come i legionari di Marco Aurelio e del III secolo.

Una lancia da urto (hasta), spada lunga (spatha), un giavellotto (verutum), scudo ovale o circolare, maglia di ferro o a squame metalliche, al di sotto un corpetto in cuoio, le cui pterugi erano sicuramente ancora utilizzate, ma è assai probabile che nel IV secolo fossero appannaggio degli ufficiali. Vediamo invece un apparente ritorno nei ranghi delle truppe nel VI-VII secolo. Schinieri alle gambe (ocrae), ma le novità del periodo che parte dagli inizi del regno di Diocleziano sono:

  1. la plumbata, una via di mezzo tra un piccolo giavellotto e un freccia appesantito da un puntale in piombo, chiamato anche martiobarbulo (‘piccola barba di Marte’).
  2. Vengono introdotti nuovi tipi di elmi: ‘ad arco’ composti da più pezzi rivettati assieme di varie tipologie di costruzione: Intercisa, Burgh Castle, Concesti, Leiden (più a Oriente); oppure ‘a segmenti’ quali gli Spangenhelm Der el Medineh (Orientali) o Baldenheim (Occidentali), mentre gli ufficiali potevano permettersi di farsi realizzare pezzi più pregiati come i Berkasovo o i Deurne per la cavalleria. Al di sotto si indossava un copricapo in cuoio, il cento o il pileus pannonicus, per attutire i colpi.
  3. il cingulum ritorna in voga, ma più alto e decorato, riacquistando la funzione di sostegno della spada.
  4. le calzature erano i campagi militaris (attestato anche nell’Editto dei prezzi di Diocleziano), che probabilmente differiva dal modello “di corte” per una maggiore robustezza e per la presenza di una suola, forse chiodata. 

Siamo portati a ipotizzare che fossero ripartiti in gruppi di 80/100 uomini, chiamati da Ammiano lochagia e comandati da centenari, omologhi dei vecchi centurioni.

Due unità (200 uomini circa) erano comandate da un ducenarius, che permetteva ad esse di operare indipendentemente l’una dall’altra.

L’unità più piccola era ancora il gruppo di 8 uomini che condividevano la stessa tenda, chiamato ora familia. Al comando di una legione comitatense era posto un tribunus, mentre il secondo in grado era il primicerius. Un terzo grado preposto ad affiancare i primi due (o alla bisogna sostituirli) era il campidoctor.

Le insegne principali erano l’aquila, portata ancora dagli aquiliferi, e il draco, nuova tipologia di vessillo mutuato dai Sarmati proprio durante i mandati di Diocleziano e Costantino, veniva portato dai draconari, sia in fanteria che in cavalleria. Il loro aiutante era il biarchus, seguivano i fanti (pedites) e le semplici reclute (tirones).

I colori principali delle decorazioni sugli scudi adottati nel tardo impero erano ancora il rosso e bianco, ma a cui si aggiungevano il blu e verde probabilmente per le unità a forte componente barbarica e reclutate sui confini fluviali.

Altri reparti di fanteria, specialmente quella leggera, erano prerogativa di unità specializzate in diverse armi e funzioni: i sagittarii erano arcieri con o senza armatura ed elmo armati di arco composito di origine Sarmatica.

Tra i procursatores troviamo i funditores, frombolieri armati di fionda, e i lanciarii, portatori della lancea, un giavellotto leggero, e dello spiculum: oltre a essere un’arma da getto, era anche una versatile arma da mischia. Dobbiamo soprattutto immaginarla nelle mani delle unità degli auxilia palatina, che fungevano tanto da fanteria pesante che leggera.

La cavalleria era prerogativa di unità separate autonome e dedicate negli eserciti mobili, raggruppate in vexillationes, composte esclusivamente da reparti montati che agivano in stretta collaborazione con la fanteria. I diversi tipi di unità erano presenti anche nelle forze di frontiera, probabilmente mutuate dalle antiche alae ausiliarie.

Tra quella leggera abbiamo gli exploratores, armati di scudo, elmo e lancia, utili per ricognizioni topografiche, esplorazioni a lungo raggio, avanguardia e protezione dei fianchi durante gli spostamenti.

I sagittariorum, arcieri a cavallo con o senza armatura ed elmo. Esistevano però altri tipi di specializzazioni, diverse a seconda del ruolo, armamento e provenienza.

I reparti di cavalleria pesante erano un eccezione per il modo di combattere Romano, creati appositamente da Costanzo II a causa della sua lunga guerra sulla frontiera Orientale contro i Sasanidi: i clibanarii e i cataphractii, cavalieri e animali interamente corazzati da armature di segmenti di ferro, aventi come arma principale il contus, una pesante lancia da urto da utilizzare a due mani durante la carica a corto raggio.

Una novità in questo reparto sono gli equites sagittarii clibanarii, costituiti da arcieri pesanti montati.

Per quanto riguarda l’artiglieria essa non è più aggregata direttamente alle legioni ma assegnata a reparti specializzati nel suo utilizzo, chiamati appunto ballistarii, impiegata solamente durante assedi o operazioni particolari.

Essa comprendeva le ballistae, ora atte al lancio di frecce invece di proiettili solidi; manuballistae, di dimensioni ridotte e portate a mano. Gli antichi onagri persistevano ma erano chiamati scorpio.

Tattica in battaglia

Il fante legionario era in grado di disporsi in svariati tipi di formazioni sul campo di battaglia, derivate da secoli di esperienza e addestramento:

la principale era il fulcum o foulkon, una muraglia di scudi obliqua a 45° eretta a protezione del fronte e delle teste degli uomini, evolutasi già in epoca altoimperiale come adattamento della testuggine stazionaria utilizzata durante gli assedi, e ora adattata a contrastare le cariche tanto di fanti quanto di cavalieri avversari.

Ammiano parla infatti spesso di “scudi serrati” (denseta scutorum compage), quasi a voler retroattivamente ricordare gli antichi quadrati falangitici di Alessandro Magno quando fa riferimento ai legionari in avanzamento.

Altre conformazioni praticate erano l’orbis, circolare o quadrato, e il cuneus per sfondare le linee nemiche. Gli ordini venivano trasmessi tramite gli strumenti a fiato utilizzati da sempre: la tromba (tuba), il corno (cornu) e la bucina.

Schieramento

La fanteria pesante disposta quasi in falange operava in concerto con la fanteria leggera, che a sua volta si coordinava con la cavalleria da tiro e assieme aprivano gli scontri con fitti lanci per scompaginare la compattezza dei nemici, seguiti dai legionari con le plumbatae e i giavellotti che arrivavano infine al contatto diretto.

Solitamente si preferiva schierare una lunga linea se si voleva coprire un fronte molto ampio (a seconda del terreno e della necessità), o se si prevedevano aggiramenti una linea doppia, mantenendo una forza arretrata di riserva.

La cavalleria pesante usualmente copriva i fianchi della fanteria mentre quella leggera era disposta in avanti per schermaglie e cooperare con le truppe leggere.

Conclusioni

Grazie alle ‘riforme’ degli imperatori-soldato della tarda antichità Roma emergerà dal periodo buio del III secolo grazie a una componente militare di prim’ordine, rinnovata nella struttura e nell’organizzazione, nei quadri di comando e nelle modalità d’impiego tattico e strategico sul campo, creando dal nulla un esercito moderno, solido, reattivo e ancor più flessibile, pronto ad affrontare le sfide alle quali nuovi nemici lo sottoporranno.

La forza di Roma d’altronde sta proprio nell’imparare dagli errori e trarne la miglior lezione possibile, adattandosi e mutando ma tenendo sempre fede ai propri principi morali..

References:

P.Connolly, Greece and Rome at war, edizione 2016 Frontline Book, pp 249-261

G.Brizzi, il guerriero, l’oplita, il legionario, edizione 2008 Il Mulino, pp 201-221

Y.Le Bohec, L’esercito romano: le armi imperiali da Augusto alla fine del terzo secolo, edizione 2016 Carocci editore, pp 255-270

G.Cascarino, l’esercito romano: armamento e organizzazione vol III, edizione 2009 Il Cerchio

C.McNab, L’esercito di Roma, edizione 2015 LEG, pp 259-300

R.D’Amato, La grande storia delle legioni Romane, edizione Newton Compton 2023, pp 30-42, tavole 25, 26, 27, 28

A.Frediani, L’ultima vittoria dell’impero romano, edizione Newton Compton 2019, pp 67-92

A.Frediani, L’ultima battaglia dell’impero romano, edizione Newton Compton 2010, pp 89-134

M.C.Bishop-G.Rava, Roman Shields, edizione 2020 Osprey Publishing, pp 20-27

G.Sumner, Roman Warriors, edizione 2022 Greenhill Books, pp 114-170

Autore: Bizzari Nicolò

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