La Compagnia delle Indie Orientali e l’Esercito del Bengala
Nel 1670 Carlo II d’Inghilterra accordò alla Compagnia delle Indie Orientali[1] il diritto di acquisire nuovi territori, di battere moneta e di arruolare truppe sui propri territori. Partendo dalle piccole stazioni commerciali di Madras e Bombay, la Compagnia cominciò impetuosamente ad espandere l’area sotto il proprio controllo: alla fine del 1850 governava un territorio che raggiungeva i confini dell’Afghanistan a nord e del Nepal a est. La Compagnia si dotò di un vero esercito solamente dalla metà del diciottesimo secolo[2]. L’organizzazione militare si basava principalmente sui tre eserciti delle Presidenze in cui era diviso il territorio della Compagnia: Madras Army, Bombay Army e Bengal Army.
Dei tre eserciti delle Presidenze, l’Esercito del Bengala era la forza militare più numerosa nell’India Settentrionale con circa 170.000 uomini. Le dimensioni raggiunte erano il risultato del progressivo impiego dell’Esercito del Bengala nelle maggiori campagne militari condotte dalla Compagnia tra il 1757 ed il 1857[3].
Tuttavia la componente militare britannica in India non si limitava alle forze armate della Compagnia, essa comprendeva anche i reggimenti regolari inglesi stanziati in India. In pratica erano stanziati in India due eserciti britannici: un piccolo numero di reggimenti regolari[4]e un più grande numero di reggimenti della Compagnia. Ciascuno dei due eserciti manteneva una separata identità, amministrazione e corpo ufficiali, ma in occasione di operazioni militari venivano aggregati sotto un unico comando operativo. Nel 1857 la Compagnia poteva contare su circa 240.000, pari all’87% delle forze inglesi disponibili in India, con un rapporto tra truppe indiane ed europee di circa sette a uno. In breve, a parte i pochi battaglioni di Europei[5], la difesa ed il controllo dell’India erano affidati ad un insieme di truppe Hindu, Sikh e Mussulmane conosciute come “Sepoy”[6].

Anche se l’Esercito del Bengala si dimostrò sempre affidabile sotto il fuoco nemico ed in molte occasioni rappresentò l’elemento decisivo, tuttavia non fu immune ad azioni di aperta ribellione[7]. Nel decennio precedente la rivolta del 1857 l’impiego sempre più frequente di reparti tratti dall’Esercito del Bengala provocò numerosi episodi di ribellione. Tra il 1844 e il 1850 si ammutinarono ben otto reggimenti Sepoy. Erano inequivocabili segnali di un crescente malcontento.
Nel 1856 la Compagnia, per garantire omogeneità logistica e tattica con l’esercito regolare, introdusse il moschetto a canna rigata Enfield, che aveva mostrato tutta la sua letalità in Crimea. Per facilitare il caricamento dell’arma e mantenere un adeguato volume di fuoco, la cartuccia dell’Enfield era rivestita di materia grassa. Tra i reggimenti indiani si diffuse la notizia che per queste nuove cartucce si usasse grasso di maiale, impuro per i Mussulmani o sego di bovino, sacro agli Hindu. Anche se la Compagnia dichiarò che il lubrificante usato era cera di api, la tensione crebbe fino ad esplodere[8] il 10 maggio del 1857, quando i reggimenti indiani di guarnigione a Meerut [9] si rivoltarono e marciarono verso Delhi.
La situazione militare generale
L’insurrezione dei Sepoy esplose nel momento più sfavorevole per le forze britanniche. Le spedizioni a Burma, in Cina e la recente guerra di Crimea avevano assorbito molte delle magre risorse militari britanniche disponibili nello scacchiere. Inoltre l’occupazione del Punjab aveva sbilanciato verso il nord-ovest il baricentro del contingente britannico. Se tra Lucknow e Peshawar c’erano 2 reggimenti di cavalleria e 17 reggimenti di fanteria[10], tra Calcutta e Lucknow c’era un solo reggimento. A sud rimanevano solo due reggimenti di cavalleria e cinque di fanteria delle Presidenze di Bombay e Madras. Il vuoto tra questi due estremi era colmato dai circa 100 reggimenti dell’Esercito del Bengala, che conoscevano il paese e potevano contare sull’appoggio attivo della popolazione.

Anche se la risposta dei comandi locali fu lenta e caratterizzata da una certa indecisione, a livello strategico gli Inglesi mostrarono una visione di ampio respiro. In breve tempo, alcuni reggimenti furono inviati immediatamente in India dalla Persia e dalla vicina Burma, altri diretti in Cina, furono dirottati verso Bombay. Le operazioni furono indirizzate a tre obiettivi: riprendere in mano la situazione e passare all’offensiva, colpire gli insorti dove si trovavano e liberare le guarnigioni bloccate e infine impedire che gli insorti si concentrassero e potessero avvalersi della loro superiorità numerica.
La guerra si concentrò per la massima parte nelle aree settentrionali e fu segnata da molti combattimenti minori e da poche battaglie, nessuna delle quali decisiva. Le sparse forze degli insorti, senza una linea d’azione chiara, si raccolsero spontaneamente in due città di rilevanza politica e simbolica: a Delhi, capitale dell’impero Moghul ed a Lucknow, capitale dello stato di Oudh e sede della Residenza del Commissario della Compagnia.
L’assedio di Delhi: maggio – settembre 1857
All’arrivo degli ammutinati da Meerut, i Sepoy di guarnigione a Delhi[11] si ribellarono e si diressero immediatamente all’arsenale, il più grande dell’India, per impadronirsi delle armi e munizioni custodite. Ma il presidio di guardia riuscì a farlo saltare[12].
Alle prime notizie da Delhi il generale Anson, Comandante in Capo in India, reagì prontamente ordinando la formazione di una colonna di soccorso da riunirsi ad Ambala. Il 15 maggio Anson raggiunse Ambala, ma si rese conto che un’azione immediata contro una città fortificata come Delhi sarebbe stata rischiosa. Decise di raccogliere provviste e di unirsi alla guarnigione di Meerut per marciare successivamente verso Delhi.
Da Meerut la colonna, denominata Delhi Field Force, circa 3.000 uomini con 22 cannoni organizzati in tre Brigate, avanzò lentamente verso Delhi. Giunta al villaggio di Badli-ke-Serai[13]si dovette arrestare: i Sepoy occupavano una posizione dominante e attendevano gli inglesi. La posizione era ben scelta e organizzata: il centro era rafforzato da due ridotte provviste di artiglieria, la destra si appoggiava al villaggio, mentre la sinistra era protetta da un acquitrino.
Il nuovo comandante della colonna Generale Barnard, Anson era morto di colera, decise per un attacco avvolgente, impegnando inizialmente il centro e successivamente il fianco destro. L’attacco cominciò all’alba dell’8 giugno. I Sepoy ressero bene all’urto iniziale e cominciarono ad infliggere serie perdite agli Inglesi. La lotta intorno alle ridotte centrali fu particolarmente accanita e la situazione divenne critica. Ma l’attacco della colonna inglese sul fianco destro sbilanciò i Sepoy che, per sostenerne l’urto, spostarono delle truppe dal centro. A questo punto Barnard lanciò il 75°HM, ultima riserva, all’assalto. L’attacco riuscì a sfondare la linea indiana e la resistenza crollò di schianto. A fine giornata la colonna raggiunse il Crinale di Delhi (The Ridge), una lunga dorsale di circa 3 km, che si stendeva dalla riva del fiume Jumma fino a Nord della città. L’accerchiamento di Delhi era impossibile: la città aveva un perimetro difensivo di 10 km, con bastioni, fossati, terrapieni e porte fortificate. In città si erano radunati circa 20.000[14] Sepoy, bene addestrati e bene armati. Inoltre con il controllo dell’unico ponte sul Jumma, i ribelli potevano facilmente ricevere rifornimenti e rinforzi. Agli Inglesi, con poche truppe e artiglieria, non rimase altra alternativa che arroccarsi sul Crinale, fissare le forze ribelli e attendere l’arrivo di rinforzi[15].
La reazione dei ribelli non si fece attendere. Dal 9 al 18 giugno le posizioni sul crinale furono attaccate ripetutamente ed inutilmente. Attacchi frontali, carichi di eroismo e determinazione, ma tatticamente inutili. Il 24 arrivarono i primi rinforzi dal Punjab e alla fine del mese le forze ammontavano a poco più di 4000 uomini: sufficienti per mantenere le posizioni ma inadeguati per attaccare Delhi. Tuttavia il maggiore problema non erano tanto le sortite dei ribelli o le quotidiane scaramucce, quanto le condizioni generali di vita degli assedianti e dei numerosi profughi civili fuggiti da Delhi. Non essendo possibile un accordo tra le parti per la rimozione dei caduti, ad ogni attacco la quantità di corpi insepolti ed esposti al sole aumentava. Ben presto comparvero colera e tifo. Mentre le mura di Delhi proteggevano gli insorti dal contagio, questo si diffuse rapidamente tra le truppe inglesi aggravato dalla scarsità di risorse alimentari.
Per numerose settimane sembrò che quelle difficoltà, unite ai ripetuti attacchi degli insorti e alle non meno numerose sortite degli Inglesi, avrebbero alla fine obbligato gli Inglesi al ritiro (fig…). Tra caduti in combattimento e malati, la forza complessiva si era ridotta della metà. Gli assedianti erano in realtà assediati. Finalmente il 14 agosto una colonna di soccorso al comando del generale Nicholson giunse a Delhi[16]. Il 4 settembre arrivava al campo un prezioso convoglio di 22 cannoni d’assedio, sufficienti per attaccare la città.

Per l’attacco furono riuniti 6000 uomini organizzati in cinque colonne: quattro avrebbero assaltato la Kashmir Gate e una mantenuta di riserva sul Ridge; il 60°Rifles, in formazione aperta, avrebbe preceduto l’assalto. Le colonne principali, una volta penetrate in città avrebbero dovuto convergere verso la Lahore Gate e fare entrare la quinta colonna.
Per aprire le brecce furono realizzate quattro batterie: la prima, con il compito di battere il bastione Mori venne completata l’8 settembre; la seconda, completata il 10 settembre, doveva battere la Kashmir Gate; la terza e quarta, completate il 12 settembre, dovevano appoggiare le altre. Dopo solo quattro giorni di bombardamento la Kashmir Gate era ridotta ad un cumolo di macerie e una ricognizione stabilì che le brecce aperte erano praticabili: l’assalto fu deciso per la mattina del 14 settembre.
Nonostante il violento fuoco dei ribelli e le pesanti perdite, la prima fase dell’attacco riuscì e alla fine della prima giornata gli Inglesi erano penetrati all’interno della città. I combattimenti, strada per strada e casa per casa, proseguirono faticosamente per una settimana[17]. Ogni casa era un singolo fortilizio e doveva essere espugnata con l’artiglieria: come gli attaccanti divenivano bersaglio di fucileria, l’edificio era direttamente attaccato a colpi di cannone fino all’apertura di una breccia o la sua demolizione; seguiva un assalto che si sviluppava per tutti i piani dell’edificio fino alla resa o alla morte dei difensori.
Comunque il 21 settembre gli Inglesi assalirono e conquistarono il Forte Rosso, l’ultimo baluardo. Da quel momento e per parecchi giorni, la città fu preda dei saccheggi e delle vendette. L’attacco era costato caro agli Inglesi: circa il 21% delle truppe coinvolte era stato ucciso o ferito. Le perdite indiane, tra Sepoy e civili, furono enormi. La caduta di Delhi fu un evento che minò profondamente la capacità di resistenza dei ribelli e il prestigio dei loro capi. Inoltre molte delle truppe indiane meglio addestrate furono distrutte.
Gli Inglesi potevano ora servirsi di una linea continua, anche se esile, di comunicazione fra l’est e l’ovest dell’India. I rinforzi, che cominciavano a giungere via mare a Bombay e Calcutta, potevano essere più agevolmente canalizzati e impiegati. Nonostante questa grande vittoria avesse rialzato il prestigio traballante del governo coloniale, non era sufficiente. La liberazione delle forze britanniche assediate a Lucknow era ora una necessità strategica e temporale. Se non si fosse arrivati in tempo e la Residenza fosse caduta, si temeva che l’intera India si sarebbe sollevata.
L’assedio della Residenza di Lucknow : maggio – novembre 1857
Lucknow era la capitale dello Stato di Oudh, annesso nel 1856. L’azione aveva creato un forte risentimento all’interno dello stato e nel resto dell’India. Il primo Commissario britannico Sir Henry Lawrence, in carica da solo sei settimane, era un amministratore di esperienza e seppe cogliere tempestivamente il fermento delle truppe indiane ai suoi ordini, formate in gran parte dall’ex-esercito dell’Oudh[18].
Quando le notizia dell’ammutinamento di Meerut e della rivolta di Delhi raggiunsero Lucknow, Lawrence riconobbe subito la gravità della crisi e reagì di conseguenza. Per la difesa immediata formò due corpi composti di congedati europei, uno composto di Sepoy fedeli e uno di artiglieri. Inoltre poté contare su alcune compagnie del 32°HMR. Con questa eterogenea ed improvvisata forza di circa 1700 uomini, iniziò uno degli episodi più eroici ed epici dell’Età Vittoriana.
Per adeguare il perimetro da difendere alle forze disponibili, Lawrence decise di fortificare solo l’area della sua Residenza e di raccogliervi tutti i civili. I lavori di fortificazione iniziarono immediatamente e furono raccolte tutte le provviste e le munizioni necessarie per un possibile lungo assedio[19]. Il 30 maggio le truppe indiane si ammutinarono, ma Lawrence riuscì a allontanarle dalla città, guadagnando del tempo prezioso per ultimare i lavori.
Venuto a conoscenza che una larga forza ribelle si stava concentrando a nord della città, Lawrence decise di attaccarla, sperando di sfruttare l’iniziale debolezza e confusione dei ribelli. Sfortunatamente l’operazione, guidata dallo stesso Lawrence, si risolse in un mezzo disastro. Lo scontro avvenne nei pressi di Chinhat dove i ribelli, arroccati in una posizione dominante e con il supporto di numerosa artiglieria e cavalleria, riuscirono a volgere in fuga la colonna inglese. A Lawrence non restò altro che rifugiarsi nella Residenza e prepararsi ad una lunga difesa in attesa dei soccorsi.

Per quanto il perimetro difensivo, un rettangolo di circa 600 per 400 metri, fosse il più ristretto possibile era troppo vasto per una difesa lineare[20]. Si decise di organizzarlo secondo una difesa puntuale fortificando sei edifici esterni e costruendo quattro batterie trincerate.. Come per Delhi anche Lucknow divenne un polo di attrazione delle forze ribelli ed in breve tempo 8000 Sepoy, appoggiati da molti seguaci della nobiltà locale, circondarono la Residenza.
Come a Delhi i primi assalti, non coordinati e mal guidati, furono respinti con ingenti perdite. Così i ribelli, che avevano a disposizione molta artiglieria, decisero per un assedio regolare e iniziarono a bombardare quotidianamente l’interno della Residenza. Lawrence fu una delle prime vittime ed il comando fu assunto dal colonnello Inglis del 32°HMR. In linea con le pratiche di assedio correnti, i ribelli tentarono di superare le difese scavando gallerie, ma gli Inglesi riuscirono sempre ad intercettarle ed a distruggerle anche con combattimenti corpo a corpo sotterranei.
La guarnigione non mantenne un atteggiamento passivo, ma riuscì anche ad organizzare molte sortite che[21], riuscirono a contenere l’azione degli assedianti e a guadagnare del tempo prezioso in attesa dei soccorsi. Questi erano più vicini di quanto potessero immaginare. Il 16 luglio Sir Havelock aveva riconquistato Cawnpore, a soli 70 km da Lucknow.
Il 20 Havelock mosse verso Lucknow con 1.500 uomini ma, per le condizioni climatiche e la difficoltà di assicurare i rifornimenti, impiegò sei giorni per attraversare il Gange. Il ritardo accumulato consentì ai ribelli di concentrarsi nei pressi di Unao per sbarrargli la strada. Lo scontro venne rapidamente vinto dagli Inglesi, ma le perdite in combattimento sommate a quelle per malattia che avevano ridotto gli effettivi a soli 850 uomini. Dopo pochi giorni Havelock decise ritornare a Cawnpore. Con un rinforzo di 300 uomini Havelock tentò una seconda spedizione, che portò ad una seconda vittoria sempre ad Unao. Ma anche in quest’occasione fu costretto a tornare sui propri passi.
Nessuna delle vittorie ottenute risultò decisiva e gli Inglesi si trovarono in una situazione di stallo. I ribelli ne approfittarono e decisero di attaccare gli Inglesi a Cawnpore. Havelock reagì prontamente e in due scontri successivi, a Unao per la terza volta ed a Bithur, riuscì a battere separatamente le forze ribelli. Stabilizzata la sua posizione a Cawnpore, Havelock avviò i preparativi per un’altra azione verso Lucknow e, per la prima volta, riuscì a comunicare direttamente con la Residenza e chiese una sortita della guarnigione per sostenere l’attacco della colonna di soccorso. Ma Inglis rispose che le forze a disposizione non erano in condizioni di agire[22]. Per il momento non si poteva tentare di più e gli assediati dovevano accontentarsi della vicinanza di forze amiche, notizia di indubbio valore morale ma di scarso contributo materiale.
Sebbene la guarnigione riuscisse a mantenere intatto il perimetro difensivo esterno, le perdite causate dai frequenti attacchi, dal quotidiano bombardamento e dai notevoli disagi, stavano esaurendo la loro capacità di resistenza. Finalmente il 15 settembre arrivarono a Cawnpore i rinforzi attesi, condotti dal nuovo comandante Maggior Generale Sir James Outram. Outram riconobbe le capacità di Havelock e lo lasciò al comando effettivo della costituenda colonna di soccorso.
Il 18 settembre[23] la colonna iniziò quello che è passato alla storia come “’Il primo soccorso di Lucknow”. Dal 18 al 25 settembre Havelock condusse una lenta e sfiancante campagna in cui la colonna, numericamente inferiore, sconfisse i rivoltosi in una serie di scontri sempre più grandi,[24] fino a raggiungere il 25 settembre in vista di Lucknow. Poiché le forti piogge monsoniche avevano trasformato il terreno intorno alla città in un pantano, una manovra di aggiramento da nord sarebbe stata difficile e rischiosa. Le batterie dei ribelli, arroccate lungo il canale Charbagh che costeggiava la città, avrebbero avuto occasione di infliggere gravi perdite alla colonna rallentata dal fango. Non rimaneva altra soluzione che attraversare la città, accettando le conseguenze di un combattimento condotto in un ambiente urbano: l’esperienza di Delhi non poteva essere più minacciosa.
La colonna incontrò subito forte resistenza nell’attraversamento del canale Charbagh e il combattimento, lento ed accanito, proseguì per le vie fino al calare della notte. L’estenuante azione imponeva una sosta, ma Havelock decise di continuare approfittando dello stato di confusione dei ribelli. L’avanzata proseguì in un labirinto di piccole e strette strade dove, dalle vie laterali e dai tetti degli edifici, gli Inglesi erano oggetto di un incessante fuoco di fucileria e di un fitto lancio di tegole e altri materiali vari. Alla fine la Residenza fu raggiunta, ma le perdite erano state pesanti: degli originari 2.000 uomini, circa 600 erano fuori combattimento.
Il piano originale prevedeva l’evacuazione della Residenza, ma le forze disponibili non erano sufficienti per garantire adeguata protezione all’evacuazione. Non rimaneva altra soluzione che rimanere all’interno della Residenza, migliorare le difese e attendere che fosse organizzata una seconda colonna di soccorso[25].
Dopo la riconquista di Delhi la situazione generale degli Inglesi era migliorata. Grazie ai rinforzi dal Punjab e dalla madrepatria, gli Inglesi riuscirono a riportare tutta la zona tra Delhi e Cawnpore sotto il loro controllo e rafforzarono le comunicazioni con Calcutta. Appena giunto a Calcutta il nuovo Comandante in Capo, Sir Colin Campbell, avviò i preparativi per l’organizzazione di una nuova forza di soccorso. Alla fine di Ottobre tutto era pronto.
Campbell con 4.500 uomini e 42 pezzi di artiglieria avanzò con determinazione. I tentativi dei ribelli di arrestarla risultarono vani. Ad ogni combattimento, le truppe si inglesi si lanciavano con ferocia sulle posizioni ribelli al grido di “Vendicate Cawnpore”[26]. La mattina del 12 novembre l’Alambagh fu raggiunto: Lucknow era nuovamente a portata di mano.
Il tempo impiegato dagli Inglesi era stato sfruttato dai ribelli per rafforzare le loro posizioni. L’attacco di Havelock aveva mostrato i punti deboli delle difese e le opportune misure erano state prese: il ponte usato da Outram era stato fortificato, il canale Carbagh era stato reso più profondo e inondato per impedire il passaggio di uomini e cannoni pesanti. Numerose postazioni di artiglieria erano state aggiunte, soprattutto nella parte verso il fiume Gumti, in modo di poter prendere di infilata il percorso del canale. Tutto era stato predisposto per un’accanita e tenace resistenza. Tuttavia la mancanza di un comando unificato che coordinasse l’azione difensiva, renderà inutile lo sforzo fatto.
L’osservazione degli apprestamenti difensivi convinse Campbell ad adottare un piano diverso da quello di Outram, che era costato tante vite. Invece di attraversare il Carbagh e penetrare in città, Campbell decise di aggirare la linea difensiva indiana con una marcia di fianco, gettare un ponte sul Gumti e costituire una testa di ponte. Da qui si sarebbe collegato con la guarnigione assediata e iniziato l’evacuazione. Lungo il percorso sarebbero stati costituiti dei capisaldi a protezione della linea di comunicazione.
L’attacco ebbe inizio il 14 novembre. Per le prime tre miglia la colonna non incontrò resistenza, ma al parco recintato di Dilkusha le truppe furono accolte da un improvviso e nutrito fuoco di moschetteria. Con l’ausilio dell’artiglieria i ribelli furono scacciati e inseguiti fino oltre la Martinerie. A sera la scuola ed il parco erano saldamente in mano agli Inglesi. Per tutta la giornata del 15 gli Inglesi consolidarono le loro posizioni e ed evacuarono i numerosi feriti. La stazione semaforica sull’Alambagh segnalò alla Residenza che l’attacco sarebbe proseguito l’indomani. Il 16 l’avanzata proseguì indisturbata fino al guado tra il Carbagh e il Gumti[27]. La colonna, accompagnata dall’artiglieria, passò sull’altra riva e si diresse sul Secundrabagh.
Il Secundrabagh era un parco reale circondato da un alto muro di cinta, ottima posizione difensiva occupata in forze dai ribelli. Quando la colonna iniziò a costeggiare il parco, fu sottoposta ad un intenso fuoco. Fortunatamente una strada rialzata e parallela al muro offrì una certa protezione alla colonna, che comunque fu costretta a fermarsi.
Campbell spinse audacemente l’artiglieria a posizionarsi sul rialzo della strada, a meno di 100 metri dal muro, mentre la fanteria proseguiva l’avanzata. Il fuoco di artiglieria cominciò ben presto ad avere il suo effetto: ogni elemento del terreno o struttura dalla quale partiva il fuoco indiano, venne bersagliato con palle e shrapnel. Ben presto la fucileria cominciò ad indebolirsi e sebbene la perdite fossero significative, elementi del 93° Highlanders e del 4° Sikh fecero irruzione. Il combattimento fu accanito e feroce: alla fine i testimoni riportarono il conteggio di oltre 2000 ribelli all’interno del parco e quasi tutti erano segnati da una o più ferite di baionetta. Questo fu uno dei pochi episodi della storia militare dell’ottocento che ebbe come protagonista assoluta la baionetta.
Il successivo caposaldo era la Moschea di Shah Najaf. L’edificio, estesamente fortificato, poteva contare su una forte guarnigione con artiglieria e sul supporto di altre batterie situate in edifici vicini. Gli Inglesi furono accolti da un infernale fuoco di fronte e dai fianchi. Campbell ordinò diversi assalti, tutti falliti. L’artiglieria inglese tentò coraggiosamente di avvicinarsi per aprire una breccia, ma tutto fu inutile: ad ogni tentativo le perdite aumentavano e la determinazione dei difensori cresceva. Ritirarsi sarebbe stato troppo pericoloso, ma qualcosa bisognava fare: Campbell si rivolse al 93° Highlanders e chiese loro di trovare un’altra via. Una pattuglia di 50 uomini, dopo un largo e avventuroso giro, trovò una breccia che fu immediatamente allargata. La pattuglia avanzò all’interno e si diresse verso la porta principale. Appena aperta gli Inglesi fecero irruzione e la sera del 17 Campbell si insediò nella Moschea. La Residenza distava ormai solo 350 metri.
Nel frattempo la guarnigione della Residenza aveva ultimato i preparativi per appoggiare l’azione delle forze esterne. Fu concordato di far saltare una parte del muro esterno in prossimità del Moti Mahal, l’ultima posizione dei ribelli che separava le due forze, e di attaccarlo simultaneamente l’indomani. Nonostante la resistenza accanita dei ribelli, il Moti Mahal fu occupato. Sebbene Outram e Havelock consigliassero di occupare il Kaisarbagh per rafforzare la posizione inglese, Campbell decise di abbandonare Lucknow anche perché altre forze ribelli stavano minacciando Cawnpore. L’evacuazione cominciò il 19 novembre.
Mentre l’artiglieria bombardava le posizioni dei ribelli per attrarre la loro attenzione, teli di canapa vennero stesi per schermare la raccolta e l’avvio dei civili e degli ammalati verso il parco di Dilkusha. Nei due giorni successivi una interminabile carovana di carri, cannoni, uomini ed animali lasciò la Residenza. Gli ultimi a partire furono lo stesso Outram e gli artiglieri che inchiodarono i cannoni intrasportabili. Il 27 novembre il convoglio entrò a Cawnpore. L’ultima vittima dell’assedio fu Havelock, che morì il 23 novembre per un attacco di dissenteria.
Il vento del diavolo: dicembre 1857 – luglio 1858
Anche se i ribelli rimasero padroni di Lucknow per tutta la stagione invernale, alla fine del 1857 la crisi poteva dirsi era superata. Ai primi del 1858 Campbell, deciso a soffocare definitivamente la rivolta dell’Oudh, avanzò con un numeroso esercito su Lucknow. Le operazioni, iniziate il 2 marzo del 1858, si concentrarono sui maggiori presidi ribelli che vennero attaccati in successione: il tempo non era più un elemento critico. La Martiniere fu catturata il 9 marzo, il Begun Khothi due giorni dopo e la Residenza il 16. Dal 21 la città era di nuovo in mano degli Inglesi.
Tuttavia un vasto numero di Sepoy riuscì a sfuggire e si disperse nelle campagne, alimentando la guerriglia nell’Oudh. Campbell passò l’intera estate e l’autunno successivi ad eliminare le sacche di resistenza, perdendo molti più uomini per l’alta temperatura, le malattie e la fatica che per i combattimenti. Gli ultimi rivoltosi furono sconfitti a Gwalior il 20 giugno 1858.
La fine della guerra fu seguita dalla messa a morte della maggioranza dei combattenti indiani[28], come pure di un vasto numero di civili che si sospettava avessero avuto simpatia per i rivoltosi. Le forze inglesi (regolari o indiane) fecero pochissimi prigionieri e spesso anche questi furono giustiziati. Interi villaggi furono rasi al suolo per il sostegno dato agli insorti. Gli Indiani chiamarono questa rappresaglia “il Vento del diavolo”.
L’evento politico più significativo conseguenza dalla ribellione, fu la fine della Compagnia. Nell’agosto del 1858 la Compagnia fu formalmente sciolta e i suoi poteri furono trasferiti alla Corona britannica. In fondo il sacrificio di tanti Indiani, non fu completamente vano.
Notes:
[1] Creata nel XVII secolo per conquistare “le Indie” e dominare i flussi commerciali con l’Asia, la Compagnia Inglese delle Indie Orientali (Honourable East India Company) fu lo strumento prevalente della politica espansionista britannica e per 150 anni assicurò il controllo di gran parte dell’Impero britannico in India, fino alla rivolta del 1857.
[2] Il primo battaglione di fanteria del Bengala, che combatté a Plassey, fu costituito nel 1757 da Lord Clive. Il battaglione, soprannominato “Lal Paltan” (i rossi) per l’adozione della caratteristica giubba rosso cremisi delle truppe reali inglesi, divenne il I°Bengal Native Infantry (BNI). Nel giugno del 1857 si ammutinò a Cawnpore.
[3] Le tre guerre contro la Confederazione Mahratta (1778-1805), la prima guerra in Afghanistan (1839-42), le due guerre contro il Principato Sikh (1845-49), quelle di “polizia internazionale” come in Nepal (1814-16) o a Burma (1824-26 e 1852) e le numerose spedizioni di sicurezza contro le irrequiete tribù alla frontiera settentrionale dell’India.
[4] Denominati “King’s Regiments” fino all’avvento della Regina Vittoria nel 1837, poi “Queen’s Regiments”.
[5] I reggimenti formati da Europei erano composti di congedati dell’esercito regolare o di residenti, anche stranieri, disponibili in loco. Bernadotte, futuro Maresciallo di Francia, fu arruolato nel First Madras European Regiment
[6] La fanteria era organizzata in reggimenti di un solo battaglione di dieci compagnie, per un totale di circa 1.000 uomini (sepoy). La cavalleria era organizzata in reggimenti di cinque o sei squadroni per circa 400 cavalieri (sowar). L’artiglieria comprendeva batterie a cavallo e da campagna, le prime di quattro pezzi , le seconde con sei o otto pezzi di calibro diverso. Addestramento, equipaggiamento e tattica erano quelli previsti per l’esercito regolare
[7] Il primo episodio si ebbe a Vellore nel 1806. L’ammutinamento scoppiò perché il comandante proibì ai soldati di indossare il turbante indigeno, gioielli e di tingersi la faccia con i colori di casta. Il nuovo regolamento venne interpretato come un attacco alla religione. Sedata la rivolta, 100 ammutinati furono uccisi legandoli alla bocca dei cannoni e facendo fuoco, secondo la pratica usata in India per punire i traditori.
[8] Ben presto si diffuse anche la voce di un’antica profezia secondo cui il dominio della Compagnia sarebbe durato un secolo e il centenario della battaglia di Plassey scadeva nel 1857. Focacce e fiori di loto, simboli della profezia, presero a circolare in ogni parte dell’India e furono interpretati come segni dell’imminente rivolta
[9]Meerut era una grande stazione militare a circa 40 miglia a nord di Delhi .La guarnigione aveva la più alta percentuale di truppe britanniche dell’India: in tutto circa 2.038 britannici con dodici pezzi d’artiglieria (60°HM Rifles, dal 6°HM Dragoon Guards e tre batterie di artiglieria), a fronte di 2.357 Sepoy (il 3°BLC, il 11°BNI e il 20°BNI)
[10] I reggimenti britannici erano organizzati in due battaglioni di dieci compagnie. Poiché raramente i due battaglioni venivano impiegati affiancati (brigaded), quando leggiamo “reggimento” dobbiamo intendere un solo battaglione di circa 1000 uomini a ruolo.
[11] La guarnigione di Delhi era composta da soli reggimenti indiani: 38°BNI, 54° BNI e 74°BNI.
[12] Il boato dell’esplosione fu sentito a Meerut. Cinque dei sopravvissuti furono i decorati con la Victoria Cross.
[13] La colonna era stata integrata da altra artiglieria e da due battaglioni Gurkha di 500 uomini. I Gurkha, che provenivano dal regno indipendente del Nepal, servivano nell’Esercito del Bengala a contratto.
[14] Oltre al presidio locale ed agli ammutinati di Meerut, si erano aggiunti anche il 45°BNI , il 13°BNI e il 10°BNC (Bengal Native Cavalry) di guarnigione a Firuzpur che si erano ammutinati 12 maggio.
[15] La posizione, forte di natura con la destra protetta da un canale e la sinistra dal fiume, era punteggiata di edifici in muratura che gli Inglesi occuparono e fortificarono., come la Flagstaff Tower o l’Hindu Rao’s House
[16] Nota come “Moveable Column” comprendeva tre reggimenti di cavalleria e sette di fanteria del Punjab
[17] Per i furiosi contrattacchi dei Sepoy la situazione divenne così critica che si considerò anche l’ipotesi di una ritirata.
[18] Il 18 aprile, in una lettera indirizzata a Lord Canning,Governatore Generale dell’India, si era preoccupato per la turbolenza manifestata dai Sepoy e aveva chiesto il permesso di trasferire i reparti più irrequieti in altre province.
[19] Lawrence aveva scarse modalità di conoscere lo stato della situazione. Tra il 4 ed il 15 giugno si ribellarono le stazioni militari di Sitapur, Faizabad, Daryabad, Sultanpur e Salon: l’autorità inglese a Odhu era confinata a Lucknow.
[20] Inoltre la Residenza era al centro di un’area con molti edifici. Lawrence rifiutò di demolirli per la presenza di molti edifici sacri e storici e questi furono usati dai ribelli come postazioni d’artiglieria e per le azioni quotidiane dei cecchini.
[21] In un’occasione l’obiettivo fu l’eliminazione di un cecchino che dai piani alti di un edificio bersagliava costantemente l’ospedale. La sortita riuscì a minare l’edificio ed a farlo saltare.
[22] Dopo 90 giorni di assedio, la guarnigione era ridotta a 300 Sepoy fedeli, 350 soldati britannici e a 550 civili .
[23] La colonna, organizzata in due brigate, era forte di sei battaglioni Inglesi e uno Sikh di fanteria, tre batterie di artiglieria per un totale di circa 3.000 uomini. La piccola forza di cavalleria contava solo 168 sciabole.
[24] L’ultimo vittorioso scontro avvenne ad Alambagh, un parco circondato di mura a quattro miglia dalla Residenza. Qui furono lasciati i bagagli sotto la protezione di una piccola scorta.
[25] La scoperta di un deposito di viveri precedentemente allestito da Lawrence, ma sconosciuto ad Inglis, rafforzò la decisione di Outram a rimanere.
[26] In giugno, i sepoy al comando del Generale Wheeler a Cawnpore, insorsero e assediarono l’insediamento europeo. gli Inglesi resistettero tre settimane all’assedio ma alla fine non ebbero altra scelta che la resa. Quando gli Inglesi abbandonarono i loro quartieri per imbarcarsi sui battelli promessi, i Sepoy rivoltosi cominciarono a sparare sui soldati e sui civili britannici. Le occupanti di sesso femminile furono prese e portate via come ostaggi mentre gli uomini, furono su due piedi messi al muro e fucilati. Le donne e i fanciulli sopravvissuti al massacro sul fiume, furono condotti al Bibi-Ghar (“la casa delle donne”) a Cawnpore. Il 15 luglio, con le forze britanniche che si avvicinavano a Cawnpore e nella convinzione che esse non avrebbero proseguito l’avanzata se non ci fossero stati ostaggi da liberare, fu ordinata la loro uccisione. Quando gli Inglesi ripresero più tardi Cawnpore, i soldati portarono i sepoy prigionieri al Bibi-Ghar e li obbligarono a leccare le macchie di sangue dalle mura e dai pavimenti. La maggior parte dei sepoy prigionieri fu poi impiccata o “legata al cannone”. Malgrado alcuni reclamassero che i sepoy non avevano preso parte alle uccisioni, non ci fu modo di arrestare le ritorsioni.
[27] Per una delle frequenti fatalità della guerra, l’allargamento e allagamento del Carbagh avevano prosciugato gran parte del punto prescelto per il passaggio del fiume.
[28] Per i Sepoy ribelli gli Inglesi scelsero l’antica punizione dei Moghul per l’ammutinamento: i rivoltosi, dopo essere stati fustigati, venivano legati alla bocca d’un cannone e letteralmente mandati in pezzi.
Autore: Gianluca Notari
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