Sebbene della guerra russo-giapponese non sia stata ancora pubblicata la storia ufficiale, pure le notizie che ci sono fin qui pervenuta per opera essenzialmente dello stato maggiore tedesco e di quello inglese, nonché per le numerosissime opere uscite fino ad ora sull’argomento, hanno ormai dissipata la fitta nebbia che fino a poco tempo fa avvolgeva gli avvenimenti dell’Estremo Oriente.
Da un lato l’eccessivo riserbo dello stato maggiore nipponico, dall’altro la tendenza di quello russo ad esagerare o meglio, a snaturare i fatti contribuirono a tenere per lungo tempo gli studiosi all’oscuro dì notizie positive e sicure.
I corrispondenti poi dei vari periodici in Manciuria, non potendo presenziare i combattimenti, né d’altronde, essendo in grado, perché in genere profani delle militari discipline, di trarre logiche deduzioni dalle scarse informazioni che ricevevano, non si peritavano qualche volta di inventare di sana pianta le notizie sui fatti d’arme e sulle mosse degli eserciti belligeranti.
Ma noi non vogliamo qui discutere il modo con cui gli avvenimenti si sono succeduti, intendiamo soltanto trarre qualche considerazione di indole generale.
In questo studio non si formuleranno delle teorie: troppi essendo i dati che si richiedono per poter enunciare dei principii fondamentali su cui basare una teoria, né noi potremmo avere la presunzione di riuscire in un cómpito di tal genere. D’altronde è sempre assai arduo l’emettere una teoria positiva sull’arte della guerra perché troppo vaghi sono gli elementi su cui essa si basa e troppo dipendente essa è da quei fattori morali che, come giustamente afferma il Clausewitz per la loro variabilità a seconda dei momenti e delle circostanze, non sono suscettibili di venir raccolte in leggi positive e sicure.
Non tratteremo delle armi ausiliarie, accenneremo invece all’impiego tattico della fanteria durante la guerra mancese, più specialmente tratteremo della fanteria nipponica. Qui mi ritorna sul labbro il vecchio quanto giusto assioma: « La fanteria è la regina delle battaglie ».
Il piccolo fante col suo lungo fucile è pur sempre l’elemento più importante della pugna e questa ultima guerra conferma una volta di più l’antico aforisma. I Giapponesi in-fatti hanno vinto perché avevano la fanteria migliore; osiamo dire la migliore fanteria del mondo; a quest’ arma bisogna adunque maggiormente prodigare le nostre cure e più attentamente informare i nostri studi.
La guerra russo-giapponese ha confermato una volta di più due assiomi indiscutibili: che cioè l’offensiva a, fondo è l’unica azione che possa dare risultati positivi e che la fanteria è sempre il fattore più importante sia della vittoria che della sconfitta.
Non potrà mai l’attaccante impadronirsi di una posizione colla sola artiglieria e tanto meno colla sola cavalleria se questa, come tale, nello stretto senso della parola, è impiegata e d’altra parte non potrà mai un difensore mantenere le proprie posizioni colla sola artiglieria se questa non è validamente coadiuvata da una buona fanteria la quale, colle qualità specifiche del suo fuoco, colla sua mobilità e colla sua adattabilità al terreno, sopperisca alle deficienze insite nella natura stessa di quella.
Per contro, soltanto la fanteria potrà nella maggior parte dei casi condurre a compimento le varie fasi della battaglia sia nell’offensiva che nella difensiva. In altri termini, malgrado l’aumentata potenzialità del cannone, la fanteria restò anche nella guerra russo-giapponese l’arma sulla cui azione si è informata quella delle altre due armi.
1° Formazione e movimenti.
La. fanteria giapponese per passare dalla formazione di marcia a quella dell’attacco quasi sempre evitò di ammassare le sue forze prima di procedere all’attacco delle posizioni avversarie e mai si curò di adottare delle formazioni prestabilite per effettuare l’avanzata.
Il nostro regolamento di esercizi per la fanteria, parlando della formazione del reggimento e della brigata, enumera, tra le altre, anche quella di, ammassamento e più innanzi poi dice che tanto l’uno quanto l’altra debbono venire esercitati a prendere la formazione di combattimento sia da quella di ammassamento, sia direttamente dalla formazione di marcia. Su ciò i nostri regolamenti sono d’accordo con quelli dei Giapponesi ma v’è una differenza che cioè al caso pratico questi diedero la massima importanza alla seconda modalità d’impiego e quasi nessuna alla prima.
Nel combattimento moderno la formazione a massa presenta dei gravi pericoli, perciò, essa può trovarsi esposta al tiro curvo delle bocche da fuoco pesanti; armi queste che sono capaci di battere con grande efficacia anche delle zone ben defunte. Appena era avvistato il nemico, veniva immediatamente dato l’ordine per lo spiegamento ed i battaglioni nipponici, dalla formazione di marcia, venivano direttamente inviati nella zona ove si doveva impiegarli.
La formazione con cui i vari reparti giungevano nei luoghi loro assegnati era lasciata all’iniziativa ed alla perspicacia dei rispettivi comandanti; essa era poi assai diversa, a seconda dell’efficacia del suo fuoco, della configurazione del terreno e della distanza a cui si trovava l’avversario. Coloro che propugnano la necessità di una formazione di ammassamento prima di spiegare le truppe asseriscono che con quella il comandante di un reparto di più battaglioni ha la sua truppa più sottomano nel momento in cui egli deve impartire gli ordini ai vari comandanti in sott’ordine pel successivo schiarimento.
Ma a noi sembra che se tutti i capi-battaglione hanno esatta conoscenza del modo con cui si svolge il moderno attacco, se lo scopo da conseguire è stato loro ben spiegato non appena si abbia avuto notizia del nemico e se infine è prontamente indicata la direzione che le varie unità debbono tenere; la coesione tra esse unità durante lo spiegamento non deve far difetto anche se questo avviene direttamente dalla formazione di marcia.
La formazione di ammassamento sarebbe opportuna qualora le compagnie dovessero durante l’attacco formare una linea continua, ma nel combattimento moderno tale continuità della linea non può durare lungamente perciò è inutile che i reparti si ammassino in precedenza, tanto più che l’assumere tale formazione implica sempre una perdita. di tempo.
Anche nell’avanzata prima di cominciare il fuoco, i Giapponesi si dimostrarono sempre alieni dall’adottare qualsiasi uniformità; fu loro preoccupazione costante invece quella di avvicinarsi il più possibile al nemico prima di iniziare il tiro. Ciò essi ottennero approfittando con mirabile perspicacia delle più leggere asperità del suolo, usando formazioni irregolarissime per plotoni, per squadre affiancate cogli uomini per due o per uno, qualche volta facendo larghi giri per approfittare di una piega od anche strisciando sul suolo carponi o ventre a terra. Ma se il terreno era piatto e battuto e se malgrado la grande distanza cui si trovava l’obiettivo, si rendeva necessario l’aiuto del fuoco per poter avanzare, la fanteria nipponica iniziava senz’altro con grandi masse di fucili un tiro violento contro il nemico; però l’arresto che subiva in tali casi l’avanzata generale non durava che pochi istanti; essa veniva subito ripresa ad andatura velocissima, con sbalzi lunghi o brevi a seconda delle circostanze.
Un’altra caratteristica delle formazioni nipponiche è la enorme estensione del fronte d’attacco dipendente questa dalla grande estensione assunta da quelle dei vari riparti che lo componevano. Una tale estensione era dovuta prima di tutto all’ampiezza del fronte assunta dai Russi i quali usarono in questa guerra, esclusivamente di posizione, distendere a cordone le proprie truppe per tutto il fronte da difendere.
A Liaoyang infatti i Russi, con un effettivo combattente di 140,000 uomini, occuparono una fronte di circa 70 chilometri ininterrotti, se si eccettua il vuoto esistente, e poi ricolmato durante la ritirata sulle alture a sud della piazza, tra il I e III corpo siberiano ed il piccolissimo intervallo tra il III corpo siberiano ed il X corpo d’Europa. A Mukden con 300,000 combattenti, l’esercito russo occupò un fronte di circa 170 chilometri.
Tale ampiezza del fronte attaccante era in secondo luogo dovuta alla tattica offensiva puramente frontale o leggermente avviluppante adottata dai Giapponesi ed infine alla costante loro preoccupazione di portare in linea, fin dall’inizio del combattimento, il massimo numero di fucili.
Ad ogni modo è degno di nota come la fanteria giapponese, malgrado la grande estensione assunta dalla sua fronte, mancasse di qualsiasi regolarità nella distribuzione dei tiratori. I riparti avevano talvolta gli uomini a contatto di gomito, tal altra li tenevano ad intervallo di parecchi passi; spesso in una medesima compagnia si osservano dei vuoti molto ampi. Ciò sempre allo scopo di poter fare il migliore impiego possibile sia dell’arma che del terreno. Ne veniva di conseguenza che il più delle volte i comandanti di compagnia spiegavano fin dal principio tutti e quattro i plotoni ed i comandanti di battaglione tutte e quattro le loro compagnie. Anche pei reggimenti, le brigate ed i riparti maggiori si tenevano riserve assai piccole.
Alla battaglia del Ya-lu la riserva generale della I^ armata era costituita di soli 4 battaglioni e 5 squadroni. Aggiungasi che essa agì come un riparto a sé ed infatti il compito che le fu assegnato non fu quello di rinforzare le truppe combattenti sul fronte, ma bensì quello di esplicare la sua azione con un obiettivo speciale sulla strada che costeggiava il fiume.
Alla battaglia di Liaoyang, la medesima armata non poté contare su alcuna riserva perché la brigata Umezawa, che come tale le era assegnata, ebbe fin dall’inizio il compito speciale di fronteggiare il distaccamento montato Liubavine, collocato a Pensiku, e dal 31 agosto in poi infatti operò offensivamente contro di esso.
Però questo troppo scarso scaglionamento in profondità presta facilmente il fianco alla critica.
È bensì vero, infatti, che la grande estensione del fronte ha il vantaggio di permettere una efficace azione avvolgente, però non è men vero che tale azione si possa ottenere ugual-mente con un maggior scaglionamento in profondità delle forze disponendo una parte della truppa scaglionata in profondità a fronteggiare il nemico ed inviando l’altra parte a compire l’aggiramento sull’ala, designata. Fatto sta che, mentre gli attacchi giapponesi procedevano spigliati e decisi alle grandi distanze, erano poi general mente obbligati ad arrestarsi alle brevi per mancanza di truppe fresche che rinforzassero la linea di fuoco. Ne deri-vava quindi quasi sempre una grave crisi per la necessità che la linea di fuoco provava di venire rinforzata da tergo e questi rinforzi Spesso mancavano.
Se le fanterie giapponesi riuscirono ciò malgrado quasi sempre in. quei terribili momenti ad aver ragione dell’avversario, si fa parche esse erano costituite da nomini di fibra eccezionale, come non si potrebbe sperare tra i figli della nostra civiltà d’Occidente, animati dalla suprema volontà di vincere ed anche perché i Russi si mantenevano quasi costantemente sulla difensiva passiva. È dubbio se una tale tattica sarebbe riuscita a fanterie meno temprate di quelle giapponesi o se esse avessero avuto di fronte un nemico più attivo e più vivace nella difesa.
Le riserve in genere, come rinforzo della linea di fuoco, sono sempre necessarie sia dal lato materiale parche servono a riempire i vuoti fatti nelle linee antistanti e sia dal lato morale perché il sopraggiungere da tergo di truppe fresche solleva grandemente lo spirito a quelle che già da qualche tempo si trovano a stretto contatto col nemico. Bisogna pensare che allorquando una truppa è esposta al fuoco violento ed efficacissimo, attraversa un gravissimo periodo di crisi: Un nonnulla in suo favore può cambiare questo in vittoria come un nonnulla a suo svantaggio può tramutarlo in disastro.
Ben a ragione quindi il nostro regolamento di esercizi per la fanteria, se, lascia libero al comandante di compagnia di distendere tutti e quattro i suoi plotoni, prescrive poi quasi tassativamente che le truppe componenti il battaglione, il reggimento e la brigata non vengano fino dall’inizio tutte impiegate, ma che una parte di queste sia mantenuta sottomano per rinforzare quelle che per prime dovranno impegnarsi.
Le scarse riserve dei Giapponesi venivano anch’esse fatte avanzare in formazioni differentissime a seconda delle circostanze momentanee del combattimento o del terreno. Quando poi esse si trovavano in terreno scoperto e tanto vicine alle linee dei tiratori da poter venir colpite dai proietti diretti contro di questi, con un solo sbalzo si portavano sulle linee stesse.
Che i rincalzi fossero assai esigui lo si desume dal fatto che, malgrado il loro giungere sulla linea del fuoco, questa non si trovava ugualmente in grado di avanzare ulteriormente stanteché la poca entità dei rincalzi non poteva aumentare sensibilmente l’intensità di fuoco della linea. Ne avvenne quindi che, nei momenti più critici; la linea dei tiratori fu spesso costretta ad arrestarsi a breve distanza dal nemico facendo assegnamento soltanto sul fuoco dei suoi fucili.
Vediamo ora le modalità impiegate dalla linea di fuoco per avanzare nella zona di tiro efficace ed efficacissimo.
Anche in questo periodo i Giapponesi non si attennero od alcun principio tassativo di formazioni e di movimento. La linea non avanzava mai contemporaneamente per tutta la sua estensione. Obbligata spesso per deficienza di rincalzi ad arrestarsi nella zona del tiro pii” efficace, essa seppe rimanere impavida sul posto fino a tanto che l’azione delle proprie artiglierie o quella di altri riparti contro altri punti del fronte o sul fianco delle posizioni da conquistare, non affievolivano, almeno per un certo tempo, l’azione del nemico nella preventiva direzione.
Durante un tale arresto forzato i fanti nipponici si aggrappavano disperatamente al terreno approfittando delle sue pie. leggere ineguaglianze od in mancanza di queste, coricati al suolo, scavavano in tutta fretta dei piccoli ripari colla vanghetta o si facevano schermo con piccoli sacchi ripieni di terra. Tale arresto però fa in molti casi di lunga durata; valga ad esempio la permanenza forzata dei fanti giapponesi della 6^ divisione durante l’attacco del 30 e 31 agosto 1904 contro il fianco destro del I corpo siberiano (battaglia di Liaoyang). In tale giornata i fanti suddetti rimasero per più di 20 ore aggrappati al terreno nel raggio d’azione delle truppe russe collocate nel villaggio di Gutsiatsi e ad una distanza da queste variabile dai 100 ai 200 metri.
Altri esempi di tal genere si potrebbero citare ma noi li ometteremo per amore di brevità. Quando poi era giunto il momento propizio per avanzare, lo facevano irregolarmente sia per interi riparti, sia, per, gruppi od anche per uno. Generalmente era l’ufficiale che, seguito dai più coraggiosi, si lanciava innanzi; gli altri uomini, pochi alla volta, lo raggiungevano fino a che tutti erano arrivati nella nuova posizione. Ne avveniva quindi che l’assalto finale non era mai contemporaneo su tutta la fronte. Erano di massima alcuni gruppi più arditi che di corsa si portavano sulle posizioni nemiche, gli altri non tardavano a seguirne l’esempio,
Sempre preoccupati di portare innanzi il massimo numero di fucili, i Giapponesi non esitavano talvolta a spingere nella zona del tiro efficacissimo fitte catene coi tiratori a contatto di gomito. Impiegavano invece formazioni rade allorché dovevano eseguire attacchi dimostrativi sussidiari di altre azioni più decisive sul fianco dell’avversario.
Chi avesse osservato fin dall’inizio il combattimento della fanteria giapponese, sarebbe stato a prima vista colpito da quell’ apparente disordine sia nei movimenti che nelle forme. Riparti avanzanti ami formazioni tra loro deferentissime, linee di tiratori cogli uomini a contatto, gruppi di uomini lanciantisi verso la posizione nemica, altri più prudenti striscianti cautamente sul terreno. Ma quanta coesione quanta unione di sforzi in quella massa informe! Quelle svariatissime formazioni e quegli svariati movimenti ubbidivano tutti ad un solo impulso, ali’ impulso che sapeva imprimere l’ufficiale giapponese ed erano intimamente collegati da `altri due vincoli potenti: la perfetta educazione militare del fante e la costante elevatezza del suo spirito.
Crediamo opportuno, prima di chiudere questo paragrafo, citare in succinto quanto dice Mr. Reginald Kann, nel racconto che egli fa dei combattimenti sostenuti dalla I^ armata nipponica intorno alle difese di Chuchanpu durante le giornate del 30 e 31 agosto 1904 (Battaglia di Lino-yang). Del suo racconto descriveremo precisamente l’attacco operato da una parte della 33^ divisione giapponese contro il centro del I° corpo siberiano:
“Il 31 m attimo verso le 8, l’artiglieria, rinforzata dal resto della brigata artiglieria indipendente, rovesciò sulle e trincee nemiche un uragano di proietti per facilitare l’assalto_ La fanteria, sprofondata nelle sue trincee a circa 1000 m dalle linee russe, ricevette l’ordine di avanzare. -a La prima linea comprendeva un. effettivo di circa 3 battaglioni, gli uomini trovavansi a contatto di gomito riparati dalle trincee. La zona da percorrere era perfettamente scoperta se si eccettuano poche pieghe del tax-a reno. Per l’attacco, si era frazionata la linea in piccoli gruppi composti da 12 a 20 uomini, ciascuno sotto gli ordini d’un ufficiale o d’un graduato. A ciascun capo gruppo era stato indicato il punto che doveva coi suoi uomini raggiungere; questa fu la sola indicazione. Alle 12.10 i fanti mettono zaino a terra e l’attacco generale comincia. La prima linea balza fuori dalle trincee, i capi-gruppo si lanciano innanzi correndo con la massima velocità fino alla piega del terreno più prossima, ove giunti, si gettano al suolo. I loro uomini li seguono prestamente senza alcun ordine ; ciascun soldato a ha per unica preoccupazione quella di giungere al più presto al punto ove potrà coricarsi. Qualche frazione deve attraversare delle macchie di gaolian, la sua marcia prosegue perciò più lentamente e, non veduta, può con
tranquillità raggiungere l’estremo margine della macchia stessa. L’avanzata continua cosi per sbalzi successivi con delle soste alquanto lunghe per prender fiato; gli uomini seguono i rispettivi capi, questi scelgono il punto da a raggiungere ed il cammino da percorrere. Spesso si vedono dei gruppi obliquare a destra od a sinistra poi prendere una direzione perpendicolare al fronte. Cosi fin dal primo arresto, ogni allineamento è scomparso e subito dopo si vedono i gruppi disseminati nella zona di manovra, alcuni sdraiati a terra, altri in piena corsa, altri ancora trascinartisi carponi. I gruppi si oltrapassano e si coprono vicendevolmente. I 900 metri da attraversare prima di arrivare alle difese accessorie del nemico, sono percorsi in tal maniera ed é là soltanto che i superstiti della prima linea giapponese si riorganizzano al coperto di un riparo in terra che i Russi, assai poco accortamente, avevano innalzato a difesa del reticolato di filo di ferro. La formazione, o piuttosto assenza di ogni formazione adottata dall’attaccante in questa sua avanzata, gli impediva di far uso del proprio fuoco. I vari gruppi sorpassandosi l’un l’altro si interponevano fra i loro compagni ed il nemico, e questo, nascosto dietro i suoi ria pari, non offriva che un bersaglio quasi impercettibile. Per tal modo l’attacco fu eseguito senza bruciare neppure una cartuccia. Allorché la prima linea giapponese fu arrivata a metà a del cammino, la seconda linea abbandonò essa pure le sue trincee e sì slanciò allo scoperto come aveva precedentemente fatto la prima. Sei ondate successive di uomini attraversarono quella zona seminata di morti e di feriti ed andarono a ripararsi dietro al parapetto antistante alle difese accessorie a 100 m. dal nemico. Nello a stesso tempo alcuni coraggiosi erano riusciti, sotto la bocca dei fucili avversari, a tagliare il reticolato in più punti e ad aprirvi un passaggio per l’assalitore. Pochi di quegli eroi poterono ricongiungersi ai loro camerati. a Quando tutti gli uomini furono riuniti, vennero inastate le baionette. Dal mio osservatorio io vidi tutta la linea come illuminata dai bagliori dell’acciaio uscente dai foderi. Ancora una volta gli ufficiali abbandonarono a il riparo ed al grido di « banzai! » ripetuto da tutti, gli assalitori si precipitarono contro le trincee nemiche. Allora, dal lato russo, Ia lunga linea dei tiragliatori siberiani si levò alla sua volta, inviò un’ultima salva contro il nemico, quindi, volte le spalle, discese correndo la china opposta della montagna. In altri punti invece i Russi attesero di piè fermo l’attaccante; s’impegnò un a terribile combattimento alla baionetta ed i Giapponesi furono respinti. Molte trincee rimasero perciò nelle mani dei difensori, ma questi, nel timore di venire tagliatifuori, si ritirarono poi durante la notte » (1).
2° Tiro
La parte principale del combattimento fu dovuta in questa guerra al fuoco individuale mirato dalla massa dei combattenti contro zone che si sapevano o si sospettavano occupate dal nemico. Non fu il tiro esatto di pochi tiratori quello che produsse effetti sensibili sul bersaglio e tanto meno questi furono dovuti al tiro a salve. Stante la grande penuria di ottimi tiratori, la loro esattezza si perde; per così dire, si diluisce nella foga generale dello sparare allorché la linea di fuoco è giunta alla distanza di tiro efficace; il fuoco a salve è poi la negazione di ogni individualità nel combattente.
D’altronde, con le brevi ferme attuali e con lo scarso numero di cartucce che trovansi a disposizione del soldato in tempo di pace, è difficilissimo che il comandante di compagnia possa ottenere una forte proporzione di ottimi tiratori sulla totalità, del suo riparto. Non gli sarà invece impossibile l’ottenere una forte proporzione di tiratori discreti. Ad ogni modo, per gli effetti che si debbono cercare di ottenere sul bersaglio, sarà molto meglio che una compagnia abbia 100 tiratori sufficientemente abili e 150 mediocri piuttosto che possederne 50 di ottimi e 200 di pessimi. Del fuoco a salve, credo qui inutile parlare perché è questione che già da molto tempo è passata in giudicato. Reca però meraviglia come i Russi in questa guerra riponessero si esso tanta fiducia.
Probabilmente i Russi non avevano ancora pienamente compreso il valore del fuoco di fucileria. Sembra che essi, seguendo troppo ciecamente le teorie del Souvaroff e del Dragomiroff, abbiano quasi sempre cercato la decisione della lotta sulla punta delle loro baionette considerando l’azione a fuoco come un mezzo per stordire i combattenti prima di lanciarli a corpo perduto all’assalto ad arma bianca. I Giapponesi al contrario impiegarono la loro arma da. fuoco intensivamente e loro preoccupazione costante fu quella di far predominare l’efficacia del tiro come mezzo principale di combattimento.
Lo scopo principale del combattimento odierno deve essere quello di portare con ogni energia il fuoco mirato alla più breve distanza possibile dal nemico: è quindi necessaria una disciplina tenace ed una opportuna condotta del fuoco stesso. Questi sono a nostro avviso i compiti principali dell’ufficiale di fanteria e, sebbene sia molto difficile l’ottener ciò sotto il grandinare delle palle o coi vuoti terrificanti. che si producono nelle file, pure bisogna pretenderli perché in assi sta il segreto della vittoria. E quindi necessario che l’ufficiale di fanteria abbia una perfetta conoscenza del proprio fucile e dell’impiego del fuoco senza di che, i concetti di disciplina e di condotta restano illusori.
Vana è perciò la teoria di coloro che sostengono la convenienza del tiro fatto coll’arma orizzontale. Oggidì la fanteria comincia a tirare a 2000 metri e, seguendo un tale principio, nessuno dei proietti avrebbe probabilità di colpire nel segno.
Ed ora qualche dato di fatto:
I Giapponesi usarono il fuoco a salve soltanto in qualche caso a grandi distanze allorché impiegavano frazioni in riserva sottratti alla emozione del combattimento; lo adoperarono sempre come fuoco d’inseguimento dopo un assalto alla baionetta per riprendere gli uomini in mano e per diminuire l’enorme spreco di cartucce che in simili casi si manifesta. La specie di fuoco da loro preferita alle medie e brevi distanze fu quella a ripetizione senza badare al consumo delle munizioni.
I Russi invece diedero una grande preferenza al fuoco a salve alle medie e grandi distanze; usarono il fuoco mirato a volontà nei momenti critici del combattimento. Tanto i Russi che i Giapponesi cominciarono ad aprire il fuoco fra i 2000 ed i 1500 metri. Alle distanze inferiori ai 1200 metri i Giapponesi usavano far eseguire da alcune frazioni delle violente raffiche di fuoco per scuotere la difesa e per permettere, durante quel momento di esitazione che in essa si produceva, l’avanzata di altre frazioni che ne attendevano l’ordine da posizioni riparate sia naturalmente che artificialmente.
Risultò in questa guerra che, per quanto violento fosse il fuoco dell’attaccante, raramente si potè con tale solo mezzo sloggiare il difensore, se questo trovavasi al riparo in posizioni ben difese e ben coperte.
Anche per parte dei Giapponesi, un fuoco individuale nel ristretto senso della parola, vale a dire un fuoco mirato da uomo contro uomo, non ebbe mai luogo neppure alle medie ed alle piccole distanze di tiro poiché alle distanze medie i bersagli umani si presentavano troppo esigui, ed alle brevi la sovraeccitazione dei combattenti era tale che il fuoco mirato all’uomo non poteva dare risultati sensibili. Gli ufficiali giapponesi, come abbiamo già accennato, si sforzavano piuttosto a far piovere una fitta grandine di proietti su una zona di una certa estensione e profondità. In complesso però, anche da parte giapponese, grandemente scarseggiavano gli ottimi tiratori, i singoli riparti possedevano però mia media soddisfacente di tiratori discreti.
Da parte russa l’istruzione individuale faceva assolutamente difetto; prova ne sia che, durante il combattimento, i soldati non si curavano quasi mai di variare gli alzi. Durante questa guerra si constatò che è difficile far cessare il fuoco nei momenti critici quando cioè gli uomini, anche più temprati al pericolo, hanno perduta la calma ed il tiro e diventato disordinato.
L’esperienza dimostrò infine che a distanze inferiori ai 100 metri il fuoco diventa da entrambe le parti combattenti quasi affatto inefficace. Ciò in causa della grande sovraeccitazione che impedisce al fante di fare un buon uso dell’arma, per cui quando il nemico era così vicino, gli ufficiali russi, preferivano far uscire gli uomini dalle trincee e dar ordine di contrattaccare con l’arma bianca.
3° Impiego della baionetta.
La guerra anglo-boera nella quale i Boeri erano sprovvisti di baionetta, ci, aveva fatto intravvedere la quasi inutilità di questa; la guerra russo-giapponese ci dimostrò invece che, per quanto grande sia. l’importanza assunta dal combattimento col fuoco, pure non è ancora giunto il momento di sopprimere l’arma bianca dal fucile.
Si verificò, come abbiamo già accennato, che alle brevissime distanze il fuoco era talmente disordinato da perdere quasi totalmente la sua efficacia e si vide quindi la necessità di venire all’urto decisivo corpo a corpo.
Così il 13° reggimento tiragliatori Siberia Orientale che durante la battaglia del 1° maggio 1904 (passaggio del Yalu occupava l’altura di Suribachiyama, prima di abbandonare la propria posizione, attaccò furiosamente alla baionetta la 12^ divisione giapponese riuscendo pel momento ad arre-starla. Molti dei combattimenti avvenuti nell’ottobre 1904 sulle rive dello Sha-ho furono risolti alla baionetta. Analogamente, accanitissimi corpo a corpo ebbero luogo durante le giornate di Mukden specialmente nei dintorni della vecchia banchina!
La guerra mancese ci ha inoltre dimostrato il grande effetto che l’arma bianca esercita sul morale dei combattenti. Infatti; malgrado l’accanimento con cui gli attacchi giap-ponesi ,furono condotti, pure il soldato nipponico mostrò sempre di temere gli attacchi russi alla baionetta conscio com’era della maggior forza fisica del suo nemico e della sua maggior maestria nel maneggiarla.
Il 31 agosto 1904 durante la battaglia di Liaoyang e precisamente nell’azione svoltasi attorno al villaggio di Gutsiatsi (I° Corpo siberiano e II^ Armata giapponese) una compagnia di mitragliatrici russa era grandemente molestata da alcuni tiratori giapponesi nascosti dietro alcuni covoni di gaolian e malgrado che le mitragliatrici di tempo in tempo lanciassero qualche raffica di fuoco in quella direzione, pure non riuscivano in alcun modo a farli tacere.
Finalmente 15 soldati russi comandati da un sottufficiale poterono snidare i cacciatori giapponesi e senza sparare un colpo di fucile, li assalirono all’arma bianca riuscendo a respingerli. Il combattimento durò solo pochi istanti ma per tutta quella giornata i Giapponesi non si fecero più sentire.
Ma dove maggiormente si manifestò l’importanza della baionetta, fu durante i combattimenti notturni. Tutti i testimoni oculari che videro la collina Putiloff al mattino del 17 ottobre 1904 dopo il combattimento della notte precedente (fatti d’arme sullo Stia-ho) sono d’accordo nel dichiarare che quasi tutti i 1300 cadaveri giapponesi ritrovati sulle pendici dell’altura in discorso, portavano ferite d’arma bianca.
4° Combattimenti di notte.
Esempi di combattimenti notturni ne troviamo nelle guerre di tatti i tempi ma, fino-all’epoca di quella russo-giapponese, in essi non erano to ai stati impiegati che piccoli reparti isolati.
Accadde spesso per lo passato che un piccolo riparto, volendo sorprendere un altro avversario, abbia approfittato della notte per mandare ad effetto il suo disegno; oppure accadde che qualche piccola unità inviata ad occupare nella notte una data posizione, abbia dovuto, per compiere il suo. mandato, sostenere nella notte stessa qualche combattimento.
Ma esempi di intere divisioni che si siano impegnate in combattimenti notturni, non ne sapremmo trovare all’infuori di quelli accaduti in questa guerra e la riluttanza che per essi i vari generali sempre dimostrarono, va essenzialmente ricercata nelle difficoltà di orientamento e di collegamento le quali rendono nottetempo assai difficile l’opera del comando.
Ma i Giapponesi hanno superato tutte queste difficoltà. Con accurate ricognizioni e col riferire la direzione di marcia a punti ben definiti del terreno, essi poterono vincere le difficoltà di orientamento. Quella del collegamento, i generali nipponici superarono fornendo innanzi del calar del sole ai comandanti in sott’ordine una netta e precisa cognizione-dell’obbiettivo a cui essi dovevano mirare nel successivo, combattimento.
Malgrado quindi le difficoltà suesposte, l’opera del comando giapponese durante le operazioni notturne riuscì relativamente facile perché le varie unità combattenti agirono-alla stessa guisa delle varie parti di un congegno obbedienti alla sola legge dell’organo motore. Spesse volte durante questa guerra si impiegò la notte per preparare le battaglie dell’indomani; spesse volte anche, la notte fu impiegata per lo svolgimento della battaglia.
Si possono quindi, riguardo alle operazioni notturne, fare due distinzioni: 1) operazioni di preparazione notturna, 2) combattimenti notturni propriamente detti.
La guerra dell’Estremo Oriente fu essenzialmente una guerra di posizione. Ora, dato che il difensore oppose quasi sempre una resistenza passiva ma por tenacissima, come poteva, coll’attuale potenza delle armi, un assalitore azzardarsi a compiere di pieno giorno tutte le operazioni necessarie per attaccare un difensore valoroso e validamente trincerato? In terreno coperto, ciò poteva riuscire relativamente facile, ma in terreno piatto, la cosa diventava assai più difficile e spesso impossibile.
I Giapponesi approfittarono sovente della notte per portare in batteria i loro pezzi e per spingere verso i vari punti del fronte d’attacco i riparti di fanteria operanti, in modo che all’alba dell’indomani lo schieramento fosse ultimato e le fanterie già si trovassero a distanza utile di tiro. In tal modo fu eseguito nella notte tra il 29 ed il 30 agosto 1904 battaglia di Liaoyang’) l’avvicinamento della II armata e della 5^ divisione alle posizioni occupate dal I corpo siberiano sulle linee di Maietnn-Sinlitun. Parimenti, durante la battaglia di Liaoyang la 2e e 121 divisione eseguirono le loro marcie di avvicinamento alle po-sizioui avanzate del III e X corpo russo collocate sulla destra del Tan nella notte dal 24 al 25 agosto.
Pure nella notte tra, il 30 e 31 agosto 1904 (operazioni attorno Liaoyang) fu eseguita dalla 12″ divisione giapponese la marcia verso il Taitse per potere all’indomani mattina attaccare il XVII corpo che si trovava collocato a Nord dello stesso fiume. Di notte infine fa preparato il combattimento dell’artiglieria nipponica contro quella russa avvenuto il mattino del 30 aprile 1904 durante il passaggio del Va-lu. Moltissimi altri esempi noi potremmo trarre dalle battaglie di Liaoyang, sullo Cha-ho e di Mukden, ma noi li ometteremo per amore di brevità. I combattimenti notturni, propriamente detti, avvennero meno frequentemente, ciò malgrado furono assai più numerosi che nelle guerre passate.
Valga ad esempio l’azione dalla 2′ divisione contro la destra del Q corpo d’Europa avvenuta durante la notte tra, il 25 ed il 26 agosto 1904 (battaglia di Liaoyang). Il combattimento notturno della 12, divisione avvenuto durante la stessa battaglia celle notte tra il 26 ed il 27 agosto contro e il distaccamento Klembowsky (ala sinistra del X corpo d’Europa) ed altri ancora.
Un esempio tipico di combattimento di tal genere lo si ha in quello che portò alla cattura per parte della fanteria giapponese del gruppo di batterie del colonnello Smolensky durante le operazioni sullo Cha-ho, avvenuto nella notte tra il 13 e 14 ottobre 1904, combattimento del quale farò uu riassunto tratto dal racconto del capitano Krasnoff che ne fu testimonio oculare.
Il giorno 13 ottobre il 2° gruppo della IX brigata artiglieria, comandato dal colonnello Smolensky, si era collocato in opportuni ripari con blindamenti alla prova nei dintorni di Cha-ho-pu e ad esso era stata assegnata una scorta di 3 compagnie. Davanti alle batterie, un’altura ed un villaggio erano stati occupati da frazioni della divisione Gerchelmanu che si battevano senza, tregua fin dal 9 ottobre. Durante la giornata del 13 le batterie avevano bombardato il villaggio di Kutkai occupato dai Giapponesi e dietro il quale essi stavano addensando ingenti forze. Verso sera lo Smolensky era stato avvertito che doveva aspettarsi un attacco per la notte; perciò, i cannonieri avevano avuto ordine di vegliare attorno ai pezzi presso i quali erano stati portati tutti i carri munizione. La luna ‘splendeva nel cielo purissimo.
Verso le 2 e mezzo del mattino, si intesero le prime fucilate e le batterie iniziarono senz’altro il tiro progressivo cogli alzi scalati tra le divisioni 50 e 65 puntando contro dei falsiscopo illuminati che erano stati preparati durante la giornata. Dopo poche salve, la fucilata cessò e le batterie sospesero il fuoco. Alle 3 e mezzo nuovo crepitio di fucilate nella stessa direzione ma più prossimo e quindi nuova raffica di fuoco per parte delle batterie con alzi scalati tra 40 e 50. Quindi, nuovo silenzio.
Poco dopo là fucileria riprese ma sempre più vicina ed intanto alcune compagnie russe, assai esauste, cominciarono a ritirarsi lentamente innanzi alle batterie. Il colonnello’ Smolensky diede ordine ai suoi cannonieri di restar pronti attorno ai pezzi. Finalmente alle 4, all’incerto chiarore della luna, sì scorse una densa linea di fanti coll’uniforme russa che si avanzava verso le batterie e dietro alla prima linea un’altra e poi un’altra ancora.
I cannoni tacevano, ma quando la. linea dei cacciatori si trovò a meno di 100 passi, si gettò a terra e cominciò un fuoco d’inferno contro le batterie. Erano i Giapponesi che, abusando della uniforme russa, si erano avanzati fino a, quella breve distanza.
Le batterie in quella confusione risposero a mitraglia, le compagnie di scorta accorsero e riuscirono per un istante ad arrestare i fanti nemici, ma in breve questi presero il sopravvento e piombarono sui pezzi. Le batterie furono catturate, la metà dei cannonieri restò sul terreno, pochi riuscirono a salvarsi. Lo Smoletisky e quasi tutti gli ufficiali caddero valorosamente combattendo. L’abuso fatto delle uniformi russe fu la causa prima di tale disastro; certo si è che di giorno esso sarebbe assai difficilmente avvenuto perché i cannonieri russi se ne sarebbero accorti in tempo. In, quest’azione prese parte una intera brigata giapponese.
Ma l’azione notturna che più di tutte merita di venir menzionata è senza dubbio quella combattutasi durante le giornate dello Cha-ho sulla collina dell’albero isolato, detta poi collina Putiloff dal nome del generale russo che riuscì a, conquistarla. Amore di brevità ci impedisce di descrivere questo combattimento; a noi solo basti sapere che esso cominciò verso le ore 17 del 16 ottobre 1904 con un violento bombarda-mento; che l’azione della fanteria cominciò alle ore 18 e ter-minò verso le 2 del mattino seguente colla presa di possesso da parte dei Russi della collina medesima. L’intera 10″ divisione nipponica da una parte e 7 reggimenti russi di 4 divisioni differenti dall’altro, presero parte a tale azione.
Concludendo adunque, qualunque siano le difficoltà che possono presentare i combattimenti notturni, pure essi sono sempre un buon mezzo per sorprendere il nemico e costituiscono qualche volta il solo mezzo per impadronirsi di quei punti d’appoggio contro i quali l’artiglieria non ha potuto completamente preparare l’attacco o le di cui vie d’accesso sono cosi efficacemente battute da non poter, con speranza di successo, venir percorse di pieno giorno.
Diventa dunque sempre più necessario il tener conto di questa modalità di azione, di studiarla e di prepararvisi in ragione delle difficoltà speciali che essa presenta, ma se nelle prove avvenire le azioni notturne acquisteranno una maggiore importanza, una maggiore importanza bisognerà dare alla baionetta; ed a questo proposito ricordiamoci sempre quel detto: “La baionetta è l’anima del fante ».
Una cosa parò che occorre tener presente in riguardo al combattimento notturno della fanteria, si è che questa non potrà mai contare sopra il valido appoggio delle proprie batterie. Anche se l’artiglieria avrà convenientemente preparato di giorno il proprio tiro, questo, durante la notte, non potrà mai avere una grande efficacia; prima di tutto perché l’oscurità in. cui saranno avvolti i bersagli le impedirà di vedere il risultato dei suoi colpi, secondariamente perché essa non è in grado di effettuare quegli spostamenti di tiro che si rendono necessari per seguire gli spostamenti effettuati dai vari bersagli durante la, battaglia.
Di notte, l’artiglieria dovrà limitarsi ad eseguire dei tiri su zone vaste tanto in profondità che in ampiezza, tiri che l’ultima guerra ha dimostrato essere di una efficacia assai precaria. Concludendo adunque, nei combattimenti notturni la fanteria non dovrà far fidanza che su sè stessa e perciò, da sola, sarà costretta a svolgere le varie fasi della lotta.
5° Utilizzazione da terreno.
L’utilizzazione del terreno fu grandemente curata presso i Giapponesi tanto è vero che non solo le linee di fuoco, ma anche le riserve erano capaci di defilarsi e rendersi invisibili usufruendo di tutte le più leggere pieghe del suolo.
Le linee di fuoco, più specialmente, mai neglessero alcun ostacolo per mascherarsi durante le fermate; in terreno scoperto esse usarono sempre sdraiarsi a terra. Allorquando la distanza del nemico lo permetteva, le riserve giapponesi erano mantenute in formazioni dense, anzi esse usavano avanzare addirittura in colonna se la marcia si effettuava al coperto.
Da parte russa, l’utilizzazione del terreno non fu molto curata al principio della guerra lo fu assai di più in seguito. Questa necessità dello sfruttamento del suolo condusse i due avversari a fare un grande uso di trincee anche nell’offensiva anche per parte delle frazioni di riserva quando le asperità del terreno non erano sufficienti a nasconderle.
Però i Giapponesi non trovarono mai nei trinceramenti un impedimento alla esplicazione dell’offensiva, né mai restarono ad essi vincolati. Quando il fante nipponico era obbligato a rimanere sotto il fuoco, sapeva scavarsi la trincea senza alzarsi da terra. Di solito un uomo ogni due scavava il terreno restando coricato su un fianco, mentre il suo vicino continuava il fuoco. Allorché un piccolo mucchio di terra era formato sul davanti, egli tirava a sua volta ed il compagno si metteva al lavoro.
Gli ufficiali russi, al contrario di quelli giapponesi, usavano rimanere in piedi presso i loro uomini. Tale sistema causava forti perdite tra gli ufficiali e produceva l’inconveniente di attirare il fuoco nelle vicinanze dell’ufficiale assoggettando a forti perdite anche i tiratori a loro più prossimi.
6° I graduati.
La deficienza della fanteria russa va essenzialmente ricercata nella poca istruzione e nella scarsa iniziativa dei suoi graduati subalterni. I soldati russi mancano di ogni individualità nel combattimento; il loro carattere lontanamente risente del fatalismo musulmano; istinto proprio della loro razza è quello di raggrupparsi attorno al proprio graduato. Essi tono pronti ad andare ovunque il loro capo immediato li conduca, ma sono incapaci di muoversi da soli. Hanno sempre bisogno di una guida ed in ciò specialmente va ricercata la ragione del grande impiego da loro fatto del fuoco a salve e delle loro dense formazioni.
D’altronde, un buon reclutamento di sottufficiali è in Russia e provincie assai difficile stante il grande numero di analfabeti. Il sottufficiale quindi non dà una sufficiente garanzia di sapere poi con intelligenza esplicare la sua azione allorché le circostanze lo richiedono. A causa di ciò, il. sottufficiale russo è in tempo di pace sorvegliato e guidato in ogni suo passo dall’ufficiale e tal fatto va a discapito di quella libertà di comando che nel combattimento odierno anche pel sottufficiale è necessaria.
Il contrario accade nell’esercito giapponese. L’intelligenza del fante è più vivace, l’istruzione del gregario come del graduato vi è meglio sviluppata. I Giapponesi non hanno analfabeti, tutti i sottufficiali sono muniti di carta topografica e la sanno leggere. Con relativa facilità ed esattezza essi sanno abbozzare una levata a vista e sanno corredarla di note ed appunti allorché sono mandati in ricognizione. In virtù di questa maggiore intelligenza del sottufficiale giapponese, può nel combattimento venire ad esso affidata la condotta immediata del fuoco dei tiratori ai suoi ordini e l’ufficiale può quindi con maggiore libertà occuparsi delle direttive dell’azione senza troppo addentrarsi nei dettagli.
Nei combattimenti di fanteria odierni questa iniziativa nei graduati inferiori è assolutamente indispensabile. Tutti gli ufficiali, dal più elevato in grado al comandante di plotone, possono trovarsi nella circostanza di dover prendere delle decisioni sotto la loro stretta responsabilità, quindi loro indispensabile un senso tattico più sviluppato di quanto si richiedeva per lo passalo. Spesso l’umile gregario si trova abbandonato a se stesso; è quindi necessario che egli comprenda l’intendimento del suo capo e sappia metterlo in esecuzione.
7° Fisonomia del combattimento di fanteria.
Chiudo questo studio riproducendo fedelmente la bellissima descrizione che con anima di artista il capitano Krasnow fa del combattimento di fanteria:
“Alla guerra la vita umana trascorre in modo si terribile e si inusitato che vien fatto di domandarsi se si è o non e si è realmente in vita. È forse la vita un incubo cupo e penoso?… Durante il combattimento ed in particolar modo durante una grande battaglia dove la morte vi aleggia d’intorno e miete migliaia di vittime, si ha un vasto campo di osservazione per osservare ciò che la guerra fa dell’uomo. Io ri cordo il sentimento come d’imbarazzo che provai ai primi colpi di fuoco, al sibilo delle prime pallottole all’ululato e delle prime granate. Qualche cosa vi rintrona neI capo e sembra che il giorno si oscuri… Al principio non si distinguono bene nè il terreno nè gli oggetti vicini… L’orizzonte sembra restringersi.., non si vorrebbe marciare senza comprendere… E che?… Avrei forse paura? ci si domanda. Si guarda se si ha gente intorno a se; non si vorrebbe esser soli. Eccoci là, sulla linea di fuoco… Gli uomini sono coricati e sparano. Essi sparano a volta celermente, a volta con lentezza… ma dove tirano?… Contro chi?… Non è possibile vederlo. Gli alzi sono levati. Ciò vuol dire che essi tirano a grande distanza, ma il nemico si nasconde e non lo si distingue. Dopo aver ripreso animo, si domanda in un tono che sì cerca di render tranquillo, se gli uomini vedono il bersaglio. Un momento fa gli abbiamo veduti; ora sono nascosti. Rispondono tranquillamente i soldati… Guardate in volto la vostra gente: Tutti hanno un’aria seria, concentrata, ma tranquilla… Qualche volta le pallottole colpiscono la cresta della trincea e sollevano la polvere, più spesso esse passano al di sopra delle nostre teste con un sibilo prolungato. Al principio si è invasi da sensazioni penose, poi esse svaniscono. Non si fa più attenzione alle pallottole; non ci si pensa più. Non si pensa più a nulla… Le ore passano… Ad un tratto un ufficiale, il comandante della compagnia o della mezza compagnia, arriva e vi domanda se voi credete che si possa far venire la vettura-cucina… Morire non à una buona ragione per non mangiare… È vero, ci si sente mano mano più appetito. Le pallottole continuano a fischiare… Non si ha niente da mangiare con sè ma si domanda del biscotto ai soldati e, rannicchiati dietro la trincea, si fa colazione. Mangiando, la calma ritorna e quando si è consumata una scatola di conserva, si guarda che cosa fanno i Giapponesi.
Non si fa più attenzione alle pallottole e l’orizzonte sembra più chiaro… Eccoli là i Giapponesi!… A 1500 passi si svolge una linea di piccoli punti neri. Non ci si farebbe attenzione e non si distinguerebbero se essi non si muovessero, se non li vedessimo correre quà e là e se nell’aria riscaldata dal sole non si vedesse una nebbia appena percettibile; non del fumo, ma piuttosto un tremolio dell’atmosfera simile ad un miraggio.
Essi tirano male, dice un tenente sedendosi quasi completamente allo scoperto sulla berma…
… Le pallottole fischiano in gran numero ma passano troppo alte. I Giapponesi non risparmiano la cartuccia. Tirate più adagio, miei piccoli fratelli, dice l’ufficiale ai soldati, risparmiate le munizioni, mirate bene al piede del bersaglio, come vi abbiamo insegnato. Questo stato di spirito relativamente tranquillo dura e fino a che si cominciano a vedere dei feriti. Il nemico ha regolato il suo tiro… Ecco che tutto ad un tratto un robusto riservista cade gemendo in fondo alla trincea. Un proiettile gli ha attraversato il cranio… Eccone un altro che abbandona Ia trincea e sospirando si dirige verso il passaggio di uscita. La situazione diventa critica e penosa… ci sono dei tristi presentimenti nell’aria… E forse giunto il mio turno?… si pensa. Le palle continuano a fischiare a decine, a centinaia alla volta. Talvolta vi sono dei feriti; due, tre, quattro e ad un tempo, talaltra tra si resta delle ore senza che alcuno venga colpito. Non si può più capire chi è ferito; soltanto il numero dei soldati che restano silenziosi ed immobili come inchiodati al suolo va continuamente aumentando… si evita di guardarli… Le conversazioni ed i lazzi sono cessati. I volti appaiono più pallidi: involontariamente il tiro si è accelerato. Il sottotenente fa delle osservazioni: rettifica gli alzi; ma la sua voce, sebbene calma, suona roca ed infiacchita. Passa molto tempo e nel nostro settore di difesa le cose restano così in sospeso. Ad un tratto, della gente arriva, un esploratore accorre, si vede il comandante di battaglione. L’ordine di prendere l’offensiva è arrivato… La linea si alza; non tutta in una volta ma per gruppi. Gli uomini corrono talvolta raggruppandosi, talaltra disperdendosi. Le palle sibilano… Sempre più spesso dei cadaveri ingombrano il suolo oppure dei feriti se ne ritornano indietro deviando verso un fianco.
Sembra che sotto quella grandine di piombo, non sia possibile di tenersi in piedi e di progredire. Ciò non ostante i soldati si levano e marciano. Ora tutti i volti sono pallidi e contratti. La vita o la vittoria; ecco ciò che si legge su ogni viso… Avanti!
Le faccio impallidiscono ancora più, diventano terree; gli occhi sano ardenti, gli uomini curvi sulle spalle camminano o si mascherano dietro i covoni di gaolian. Essi sfilano attraverso le inuguaglianze del terreno, cadono e si rialzano. Non vi sono ora più né uomini dell’esercito attivo né riservisti ; non vi è che della gente che corre alla battaglia. Il passo diventa sempre più rapido, poi ci si corica di nuovo. Si è sdraiati, scoperti e si fa fuoco. La maggior parte dei soldati spara senza puntare. Molti non hanno nemmeno graduato l’alzo, altri l’hanno lasciato all’antica graduazione. Ma il nemico anche lui spara senza mirare, le pallottole passano al di sopra del capo. Il suo nervosismo aumenta e si manifesta con un tiro disordinato e privo di efficacia. Lo scarso effetto del tiro avversario rinfranca il cuore dei nostri.
La compagnia vicina fa uno sbalzo, poi viene la volta della nostra. Le palle colpiscono con violenza… Non si pensa più a nulla, non si osserva più nulla. Non si vede più nè chi cade, nè chi avanza, nè chi resta ancora in piedi nè se resta ancora molta gente intorno a noi. I piccoli punti neri, il nemico, ingrandiscono a vista d’occhio. Si distingue ormai la fascia gialla dei berretti, le tuniche nere, i piedi calzati nelle uose bianche. Le pallottole non fischiano più con sibilo lamentoso, esse filano rapide, affrettate con un fruscio secco e potente. Si sente che questi piccoli pezzetti di piombo sono capaci di spezzare tutto ciò che incontrano. Non fa caldo; eppure, tutti sono madidi di sudore. Le facce sono mortalmente pallide, le mascelle si stringono ed i denti scricchiolano i movimenti sono a scatti.
E ad un tratto il nemico fugge. Poco dopo i suoi colpi cessano e cessa pure il fischio dei proietti. Si vedono filare i Giapponesi come delle piccole silhouettes oscure… Compagnia alt!, comandano gli ufficiali, con tono forte e sicuro. La loro voce risuona d’un timbro maschio ed ardito. Arriva l’ordine di fermarsi e di trincerarsi. La fucilata è finita ovunque. L’artiglieria sola tira ancora ed i suoi proietti passano ruggendo sopra le nostre teste. Ben presto tutto piomba nell’oscurità… I fucili sono a fasci, gli oggetti di equipaggiamento stanno ordinati in terra, gli uomini scavano una trincea per ripararsi. Si parla poco. I portaferiti raccolgono i feriti. Si scavano in disparte delle fosse pei cadaveri. Quando l’oscurità è assoluta un asino viene a portare del the freddo e delle cartucce. Si fa l’appello, sorde risposte; Presente!… Presente… Ucciso… Ferito… L’ho visto cadere… Poi si riprendono le conversazioni… Si scherza… L’anima dei superstiti è in festa; si prova; deliziosamente la vita…Non si ha il tempo di pensare ai caduti; ciò viene in mente più tardi. La preghiera!!! Lungo la linea non la si canta ma dalle riserve ci giungono all’orecchio dei patetici accordi che rinfrancano il cuore dei combattenti. Dopo la preghiera, l’inno nazionale si ripercuote diffusamente nella notte oscura e penetra l’animo di un profondo orgoglio. Spandi il terrore nel cuore del nemico, cantano i teneri levando la voce sempre più alta; ed alle parole czar ortodosso i bassi vengono a mischiarsi alle loro voci per l’accordo finale… Il cielo è di un bell’azzurro cupo… Le stelle brillano dolcemente e guardano la terra… “
Autore: G. Lanfranchi capitano aiutante maggiore III° reggimento artiglieria da campagna

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