La potenza di fuoco come rivoluzione della “battle effectiveness” settecentesca

13 minuti

In un articolo precedente [1] ho trattato – sommariamente e senza la pretesa di essere esaustivo – quella rottura di faglia che furono le Small Wars ed il loro impatto sugli esercizi e sulle loro dottrine di impiego.

Circa un secolo prima di questa lenta e diluita “rivoluzione”, dai risvolti non subito evidenti,
un altro momento di cesura ribaltò completamente il modo di concepire la guerra e la sua pianificazione. Essa, la potenza di fuoco, fu il vero emblema della Battle Effectiveness che il
suolo europeo conobbe nel Settecento, nel secolo successivo ed infine nel Novecento, teatro
di due conflitti mondiali con armi sempre più potenti e devastanti e con reparti fortemente
equipaggiati ed armati.

Nel Settecento, le guerre porteranno alla scienza (ed all’arte) militare una rivoluzione [2]
pressoché totale degli eserciti e degli apparati bellici attraverso l’aumento dei settori
economici coinvolti nello sforzo bellico, del numero degli uomini chiamati ad imbracciare il
fucile, l’evoluzione tecnica delle armi da fuoco e delle tattiche [3]. Questo è il punto più
importante della “potenza di fuoco”, altamente semplice, ma al contempo di non facile
comprensione.

L’adozione delle nuove armi, i fucili a pietra focaia, e delle nuove pratiche belliche, la
progressiva sparizione delle armi bianche – la picca a favore della baionetta[4] – e l’adozione
di formazione in linea su tre ranghi interamente di fucilieri, portarono ad un notevole
incremento del lato cruento e distruttivo della guerra moderna[5]. Gli eserciti, diventati
permanenti, professionali ed estremamente costosi, si scontreranno in battaglie campali, a
distanza di poche centinaia di metri, attraverso dense e continue salve di fucileria, causando
decine di morti[6]. Solo chi ha la migliore cadenza di tiro, un maggiore concentrazione del
fuoco e la disciplina più ferrea riuscirà infine a prevalere.

Lo scenario del racconto è pertanto molto distante dalla cosidetta “guerra limitata” che diversi storici
attribuiscono al Settecento. Essa, infatti, non ebbe mai compimento se non negli scritti dei
teorici, ma anzi, nel fango del campo di battaglia, l’intero potenziale di fuoco produsse scontri sanguinosi e violenti[7]. A titolo di esempio si prenda l’esercito prussiano di Federico
Guglielmo I e poi di Federico II, il quale arrivò ad assumere circa il 75% delle entrate
dell’erario[8] . Di seguito verrà preso ad esempio l’esercito prussiano, uno dei più celebri nei conflitti di metà Settecento ed invidiato da generali continentali, per meglio comprendere tutte le implicazioni che tale concetto ha comportato per i nascenti Stati Europei.

L’esercito prussiano e l’ordine perfetto per scatenare il fuoco e l’acciaio

Prima di addentrarci in quello che si potrebbe definire, senza mezzi termini, il “carnaio” della
Guerra dei Sette Anni (1756-1763), si deve analizzare la composizione e le tattiche di
combattimento adottate dall’esercito di Federico II[9] .
Un battaglione, l’unità tattica di base, si schierava su 3 ranghi per un fronte di circa 130 metri
e la disciplina di fuoco, in addestramento, permetteva di far sparare tra le 4 e le 5 volte al minuto ogni soldato, rendendo a livello teorico, ogni reparto prussiano una vera e propria
mitragliatrice ante litteram. Allo stesso modo, Federico II volle implementare al meglio la
tecnologia delle proprie armi e quindi ai soldati furono fornite le migliori polveri da sparo e
pallottole. Queste vennero immagazzinate in grande quantità al fine di poter
rifornire costantemente le giberne della truppa durante gli scontri. L’esercito, poi, subirà in questi anni un
nuovo slancio tecnologico e di sviluppo, divenendo estremamente mobile così da seguire i
reggimenti fino al campo di battaglia e poter poi essere impiegato nel disfacimento delle linee
avversarie[10].

Parlando invece delle tattiche adotta, estremamente noto è “l’ordine obliquo” [11] , un piano
di attacco che aveva lo scopo di concentrare in un unico settore un intenso fuoco di fucileria
o di forza d’urto (i celebri assalti alla baionetta amati proprio dal sovrano prussiano e poi abbandonati) composto da fanteria, cavalleria e l’ artigiano – arma che stava subendo sempre
maggiori innovazioni e migliorie tecnico-tattiche e che fondamentale diventerà poi nell’epoca
napoleonica – al fine di rompere lo schieramento avversario, distratto nel frattempo da piccoli
diversivi su altri fronti di attacco. La restante parte dell’esercito era poi schierato secondo
una linea obliqua che aveva un triplice obiettivo: fissare il nemico sulle sue postazioni, fornire
truppe fresche per sfruttare la vittoria oppure coprire la ritirata. Tale tattica sarà poi abbandonata durante la guerra dei Sette Anni, a favore delle “colonne convergenti” austriache [12] oppure ad accorgimenti e pratiche da adattarsi ai diversi campi di battaglia su cui si doveva combattere, teorizzando sia attacchi di cavalleria propri della petite guerre, al fine di
disperdere la forza avversaria, sia veri e propri massicci concentramenti di combattenti per
disunire e sfondare le linee nemiche.
Per meglio comprendere come dovevano svolgersi questi scontri, della loro intensità e del
loro costo (in termini di vite umane e materiali), di seguito verrà tratteggiata la celebre
battaglia di Leuthen, nella quale Federico II di Prussia uscì vincitore, nonostante la forte
inferiorità numerica.

Leuthen, dicembre 1757 [13]
La battaglia di Leuthen, combattuta il 5 dicembre 1757 rappresenta l’apice della
combinazione tra fuoco e movimento: elementi centrali nello sviluppo di una superiore
potenza di fuoco[14]. Gli effettivi in ​​campo furono di 33.000 uomini per Federico II e circa
65.000 per il Principe Carlo di Lorena. Rispettivamente, è stato stimato che i cannoni a
disposizione fossero 167 pezzi di miliardari prussiani contro i 210 austriaci. Gli scontri
iniziarono già in mattinata, in quanto l’esercito di Federico si mise in movimento all’alba.
Venne sfruttata, quindi, l’immobilità della forza austriaca un proprio vantaggio, adottando il
citato “ordine obliquo”, ancora relativamente recente e non ancora assimilato dagli avversari.

In tale contesto, infatti, il re prussiano utilizzò una piccola forza come diversivo per poi sfilare
sull’ala opposta, come mostrato nella figura 1.

figura 1 – la manovra diversiva per permettere lo slittamento della propria formazione sul fianco prescelto

Con questa manovra, Federico II riuscì a concentrare la propria forza contro la sola ala sinistra dell’esercito austriaco, come viene mostrato nella figura, qui di seguito.

Figura 2 – Lo slittamento verso l’ala sinistra degli Austriaci e la concentrazione di fuoco contro i reggimenti lì presenti

Le truppe prussiane sfilarono quindi verso l’ala sinistra del Principe Carlo di Lorena, obbligandolo a ruotare il proprio schieramento ed a fronteggiare una meno numerosa forza
nemica. A quel punto, lo schieramento prussiano si concentrò sulla presa della città di Leuthen attraverso il fuoco dell’fascista e assalti alla baionetta, sempre però fallimentari.

Diversi reggimenti lamentano perdite anche del 50% o percentuali superiori [15]. La battaglia però non sarà decisa dallo scontro delle fanterie, le quali si fronteggiarono fino al pomeriggio inoltrato, bensì dalla manovra avvolgente ed aggirante della cavalleria prussiana del
Luogotenente generale Georg Wilhelm von Driesen [16], che causò il crollo del fronte austriaco
e la ritirata generale, come mostrato nelle Figure 3 e 4.

Le perdite ammontavano a poco più del 30% dell’intero esercito per ogni combattente,
pertanto poco meno di 20.000 tra morti e feriti per gli austriaci e poco più di 6.000 per i
prussiani.

Figura 3 – Lo scontro tra le fanterie e la sanguinosa pressione e conquista dei punti nevralgici della cittadina di Leuthen con annessa manovra aggirante della cavalleria prussiana (freccia tratteggiata in blu)

Figura 4 – La conclusione dello scontro con la ritirata austriaca

Conclusioni
La battaglia di Leuthen illustra perfettamente come i comandanti utilizzarono la concentrazione del fuoco (scariche di fucileria ed artiglieria). Essa poteva sbaragliare in poco tempo interi battaglioni, come accadde a quelli del Württemberg [17], schierati sul fianco sinistro e presto dissoltisi al primo attacco combinato di fanteria, cavalleria ed militari. In aggiunta, fu abbandonata l’idea che una carica frontale alla baionetta poteva forzare il fronte nemico e pertanto ogni soldato fu costantemente rifornito di polvere da sparo e munizioni al fine di
mantenere sotto costante tiro le forze asserragliate nella cittadina, dimostrando come le armi
bianche erano divenute secondarie rispetto alle scariche di fucileria ed alle palle di cannone.

La Guerra dei Sette Anni proseguirà attraverso sanguinosissimi scontri (Kunersdorf [18] e Torgau [19] ad esempio) portando allo stremo tutti i combattenti a causa dei costi umani e
materiali, dimostrando che il Settecento non dovrebbe essere immaginato come il secolo
della guerra en dentelle, dei merletti, e delle geometrie belliche. Il conflitto appena terminato
evidenzia ad ogni Nazione europea che gli effetti combinati di fortificazioni, trinceramenti,
artiglieria e fucili a pietra focaia potevano rendere impossibile ingaggiare e manovrare in quella
che i militari chiamano la Kill Zone [20]. Tale situazione di stallo avviò una corsa alle armi e ad
una sempre maggiore ricerca della potenza di fuoco delle proprie bocche da fuoco e dei reparti. La conseguenza fu che i comandanti, nonostante la teoria del “vincere solomanovrando” cercarono sempre di ingaggiare ed annientare l’avversario causando (anche a loro stessi) perdite molto ingenti. Per colmare tale fatto gli eserciti divennero sempre più numerosi e la guerra divenne ancora più un affare estremamente costoso.
Gli effetti di questa “rivoluzione” nel modo di combattere e di pianificare a livello tattico le
battaglie saranno dirompenti ed andranno ad interessare anche la costruzione di nuove piazzeforti (o l’ammodernamento di quelle preesistenti) e la struttura degli eserciti stessi, la
quale dovette subire forti modifiche attraverso un allargamento della linea di comando al fine
di poter concedere allo stesso tempo sia autonomia decisionale sia il pieno controllo del campo di comando. Gli eserciti divennero molto più mobili e fu necessario costruire nuove
strade, topografare e cartografare i propri possedimenti e conoscere quegli altri. Tale
evoluzione non comporterà che le battaglie diventino risolutive, anzi spesso anche i vincitori
stessi furono esausti e provati dallo scontro a tal punto da non poter sfruttare totalmente il
successo ottenuto, permettendo al nemico di riorganizzarsi e di proseguire la guerra. I continui stalli dati dai combattimenti spinsero i nascenti Stati Maggiori ed i sovrani a ricercare sempre nuove e più efficaci armi.

Queste necessità, in aggiunta all’addestramento ed al costo di ogni soldato, fecero sì che i
debiti degli Stati esplodessero. Infatti, tra i motivi alla base della Rivoluzione Francese ci
furono proprio le spese militari, le quali contribuirono a portare al collasso il già fragile
sistema economico transalpino.

Presto però anche i rivoluzionari si accorsero della necessità di impiegare le proprie forze sul
campo di battaglia ed alle nuove e più potenti armi prodotte aggiunsero anche un elemento
nuovo: l’ideologia e la massa. Esse portarono a ricercare il costante annientamento dell’avversario anche a costi umani altissimi: l’unica risposta logica per sopravvivere fu quindi
la levée en masse. Napoleone Bonaparte emerse poi con il suo genio militare e non dovette fare altro che migliorare le tattiche e le strategie settecentesche, attualizzandole al suo presente e portandole al loro apice, con le prove storiche a tutte note.

Nota:

1.M. CENCIO, «Small Wars: le piccole guerre (che tali non erano)», in F. BIASI (a cura di), Arma VirumQue, n. 1,febbraio 2021
2.Sul tema della rivoluzione militare in età moderna è possibile approfondire su L. Pezzolo, Una rivoluzione militare europea, in P. BIANCHI e P. DEL NEGRO, Guerre ed eserciti nell’età moderna, Società editrice il Mulino, 2018, pp. 19-49 e, dello stesso autore, «La rivoluzione militare: una prospettiva italiana 1400-1700», in A. DATTERO e S. LEVATI, Militari in età moderna. La centralità di un tema di confine, Milano, Cisalpino, pp. 15-62; MS ANDERSON, War and Society in Europe of the Old Regime 1618-1789, Alan Sutton Publishing, Londra, 1988 (prima edizione); J. LACK, Una rivoluzione militare? Military Change and European Society 1550-1800, MacMillan, Basingstoke- london, 1991, e sempre di J. BLACK, European Warfare in a Global Context 1660-1815, (1st ed.), Routledge, London, 2007,
3. Tali affermazioni si possono trarre dalle diverse pubblicazioni sul tema, tra le quali GC BADONE, Potenza di fuoco. Eserciti, tattica e tecnologia nelle guerre europee dal Rinascimento all’età della Ragione, Edizioni Libreria Militare, 2013;C. DUFFY, L’esercito di Federico il Grande, Emporer’s Press, 2008; G. PARKER, La rivoluzione militare. Le innovazioni militari e il sorgere dell’Occidente, Società editrice il Mulino, Bologna, 1990, seconda ed. 1999; A. BARBERO, La guerra in Europa dal Rinascimento a Napoleone, Carocci Editore, Roma, 2015, pp. 61-72.
4. In merito si veda J. BLACK, Una rivoluzione militare? Military Change and European Society 1550-1800, MacMillan, Basingstoke-London, 1991.
5. BARBERO, La guerra in Europa cit., pp. 62-73.
6. G. BRUNELLI, La guerra in età moderna, Editori Laterza, 2021, pp. 120-125.

7.Concetto esposto più volte in J. BLACK, European Warfare in a Global Context 1660-1815, (1st ed.), Routledge, London, 2007, DOI:
8.Molteplici studi hanno permesso di stimare come le perdite medie durante la Guerra dei Sette Anni fosse, per i soli conflitti campali di circa il 20-25% degli effettivi schierati. Per approfondimenti si veda BADONE, Potenza di fuoco. Eserciti, tattica e tecnologia nelle guerre europee dal Rinascimento all’età della Ragione, Edizioni Libreria Militare, 2013 e P. BIANCHI e P. DEL NEGRO, Guerra ed eserciti nell’età moderna, Il Mulino, 2018.
9.Per approfondire la figura di Federico II, si vede S. Pagano, Le guerre di Federico II. La nascita della potenza prussiana, Res gestae, Milano, 2015.
10. BADONE, Potenza di fuoco cit., pp. 134-138; PARKER, La rivoluzione militare cit., p. 47 e seguenti. Un ulteriore approfondimento è presente in BRUNELLI, La guerra in età moderna cit., pp. 5-14.
11. BADONE, Potenza di fuoco cit., pp. 139-145
12. BADONE, Potenza di fuoco cit., pp. 141-145; D. SHOWALTER, Frederick the Great: A Military History, Frontline Books, Barnsley, 2012.
13. Paragrafo basato su Giovanni Cerino BADONE, Potenza di fuoco. Eserciti, tattica e tecnologia nelle guerre europee dal Rinascimento all’età della Ragione, Edizioni Libreria Militare, 2013, pp. 145-150; C. DUFFY, The Army of Frederick the Great, Emporer’s Press, 2008; R. MOORHOUSE, The Historian at Large: The Forgotten Battlefield at Leuthen e su S. TUCKER, Battles that Changed History: An Encyclopedia of World Conflict, ABC-CLIO, Santa Barbara CA, 2010, pp. 233-235.
14. Per approfondire si consiglia la lettura di: C. DUFFY, Prussia’s Glory: Rossbach and Leuthen 1757, Emperor’s Press, Chicago, 2003
15. JFC FULLER, A Military History of the Western World, Da Capo Press, New York, 1987, pp. 212-15.
16. C. O’BRIEN, Outnumbered: Incredible Stories of History’s Most Surprising Battlefield Upsets, Fair Winds Press, Beverly
MA, 2010, p. 171
17. Il Württemberg è una regione storica della Germania sita a sud ovest, con capitale Stoccarda, in origine appartenente al ducato di Svevia come signoria, divenne contea dal XII secolo, quindi ducato dal 1495, regno dal 1806 ed infine una regione (Land) della Repubblica di Weimar, del Terzo Reich, della Repubblica Federale Tedesca con il nome attuale di Baden-Württemberg
18. Kunersdorf fu teatro di una cocente sconfitta di Federico II avvenuta il 12 agosto 1759 e fu una delle maggiori sconfitte subite dal sovrano prussiano. Le sue perdite sono stimate intorno al 50% dell’esercito impiegato quel giorno. Le forze austro-russe quel giorno persero invece in totale circa 14.000 uomini.
19. La battaglia di Torgau (3 novembre 1760) vide opporsi Federico II al feldmaresciallo Leopold Joseph Daun in un feroce scontro che comportò la vittoria prussiana solo verso la sera dopo quasi dieci ore dall’inizio dell’attacco.
20. Nelle tattiche militari, la Kill Zone è un’area di ingaggio interessata dal fuoco diretto ed efficace e nel cui spazio vengono concentrate le forze avversarie al fine di distruggerle, catturarle o farle sbandare.
21. Per dare un esempio davvero singolare dell’esplosione dei costi che una Nazione doveva sopportare, l’esempio migliore è la Guerra di successione bavarese (1778-1779) la quale si svolse per circa 8/10 mesi senza scontri significativi o di rilievo, nonostante Prussia ed Austria si schierarono circa 160.000 uomini a testa. Tuttavia, il costo fu esorbitante rispettivamente 33 milioni di fiorini per Federico II mentre l’Austria ne spese circa 65 milioni

Bibliografia

ANDERSON MS, War and Society in Europe of the Old Regime 1618-1789, Alan Sutton Publishing, Londra, 1988 (prima edizione).
BADONE GC, Potenza di fuoco. Eserciti, tattica e tecnologia nelle guerre europee dal Rinascimento all’età della Ragione, Edizioni Libreria Militare, Milano, 2013.
BADONE GC, «La rivoluzione della potenza di fuoco. Armi, tattiche ed esperienze di combattimento sui campi di battaglia (1690-1800)», in N. Labanca e PP Poggio (a cura di), Storie di armi, Edizioni Unicopli, Milano, 2009.
BLACK J., Una rivoluzione militare? Military Change and European Society 1550-1800, MacMillan,Basingstoke-London, 1991.
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DUFFY C., The Army of Frederick the Great, Emperor’s Press, Chicago, 1996.
FULLER JFC, A Military History of the Western World, Da Capo Press, New York, 1987.
MAURIZIO DI SASSONIA, Lettres et Mémoires choisis parmi les Papiers Originaux du Maréchal De Saxe, Vol. V, Parigi 1794.
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PEZZOLO L., «La rivoluzione militare: una prospettiva italiana 1400-1700», in A. Dattero eS. Levati, Militari in età moderna. La centralità di un tema di confine, Milano, Cisalpino.
SHOWALTER D., Federico il Grande: una storia militare, Frontline Books, Barnsley, 2012.
TUCKER S., Battaglie che hanno cambiato la storia: un’enciclopedia del conflitto mondiale, ABC-CLIO, Santa Barbara CA, 2010

Autore: Marco Cencio

Fonte: Arma VirumQue Novembre 2021, N. 3

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