Il deserto Orientale egiziano sin dall’epoca faraonica è stato una regione strategica, tanto per le sue ricchezze minerarie, quanto per il fatto che esso era attraversato dalle piste che permettevano alle carovane di mercanti di raggiungere gli scali sul Mar Rosso, porta d’accesso ai floridi mercati d’Oriente.
In età romana due erano i settori amministrativi e strategici della regione, l’area dominata dalle cave di Mons Claudianus e di Mons Porphyrites a nord e il deserto di Berenice a sud.
Il settore settentrionale destò l’attenzione dei Romani a partire dal regno di Tiberio, quando iniziò l’estrazione del porfido a Mons Porphyrites; al regno di Domiziano si colloca invece la fondazione del villaggio fortificato di Mons Claudianus, ove tra l’altro si lavorò all’estrazione del granito impiegato per decorare il foro di Traiano a Roma.
Le due cave erano amministrate ciascuna da un centurione e collegate alla valle del Nilo da due piste puntellate da fortini, praesidia nei documenti, gestiti da ufficiali di basso rango, i curatores praesidiorum.

Per quanto concerne il settore meridionale, il deserto di Berenice, esso costituiva una zona di transito, un «istmo verso il Mar Rosso» (Str., XVII, 1, 45), era caratterizzato da due piste congiungenti Coptos, sul Nilo, con due importanti porti marittimi, Myos Hormos a nord e Berenice a sud, ed era amministrato dal prefetto di Berenice, di stanza a Coptos.
Fu sotto Vespasiano e per ordine del prefetto d’Egitto Iulius Ursus che nel 76/77 d.C. la via da Coptos a Berenice fu equipaggiata di praesidia, i quali andarono a sostituire gli hydreumata, le precedenti stazioni dotate semplicemente di un pozzo. La fortificazione di questa strada, così come di quella per Myos Hormos, avvenne molto probabilmente in conseguenza di un inasprimento dei rapporti con le tribù nomadi locali, che fino a qualche decennio prima Strabone testimoniava essere pacifiche e dedite allo sfruttamento delle miniere della regione.
È possibile, da un lato, che una presenza sempre più forte dell’amministrazione romana abbia privato queste tribù dei loro tradizionali mezzi di sostentamento, dall’altro, che l’incremento dei traffici si sia accompagnato ad una crescita del contrabbando operato proprio da queste genti, che potevano giovarsi di una più profonda conoscenza del territorio tale da permettere loro di aggirare i controlli doganieri romani. In seguito, durante il III secolo d.C. l’esercito si ritirò dalla regione, prima dalla strada Myoshormitica a causa dell’insabbiamento del porto, poi, per decisione della regina Zenobia, da quella verso Berenice.
Curatores praesidiorum
“Quanto a queste lettere per il potentissimo governatore e per Artorius Priscillus, dopo aver preso nota dell’ora, di colui dal quale le ricevete e di colui al quale le affidate, inviatele in fretta al potentissimo prefetto Artorius” O.Krok. I 47
Queste parole sono tratte da una lettera circolare databile al settembre-ottobre del 109 d.C. inviata a tutti i curatores praesidiorum ‘responsabili dei fortini’ della via Myoshormitica. Le lettere circolari venivano trasmesse da un fortino all’altro, solitamente per diramare un ordine del prefetto di Berenice, l’ufficiale responsabile di quest’area.
Nel passaggio citato l’autore di questa lettera dà delle istruzioni che rivelano quella che era una delle principali funzioni dei curatores praesidiorum, cioè la gestione della posta ufficiale in transito lungo la pista.
Ogni qual volta una lettera o un insieme di lettere faceva il suo ingresso nel fortino, il curator doveva registrare l’ora di arrivo e il nome dell’addetto al trasporto – solitamente un cavaliere del presidio subito precedente – annotarsi il contenuto o la natura della corrispondenza, eventualmente ricopiare le lettere ritenute di proprio interesse e infine affidare quanto ricevuto a uno o due dei suoi uomini – così da garantire alla posta di proseguire la strada verso la sua destinazione – prendendo nota anche del nome di costoro.
Questa attività di registrazione della posta si concretizzava in tre tipi di documenti che, almeno nella forma in cui ci sono pervenuti, venivano vergati a inchiostro su cocci d’anfora usati come supporto scrittorio chiamati ostraka.
La tipologia che maggiormente rispettava le consegne date nel documento poc’anzi citato è quella dei giornali di posta veri e propri, nei quali, giorno dopo giorno, se arrivava della posta il curator ne indicava la natura (non necessariamente lettere), i nomi delle staffette, l’orario di arrivo, la provenienza e la destinazione.
Vi erano poi i libri litterarum allatarum, cioè raccolte di copie delle circolari ricevute dal presidio, tra i quali spicca O.Krok. I 87, un’anfora (nell’immagine) sulla quale su due colonne sono state ricopiate, contestualmente al loro arrivo al forte, sette circolari datate tra il 9 marzo e il 2 aprile del 118 d.C. e tutte concernenti più o meno direttamente il pericolo di attacchi da parte dei barbaroi, termine che in questi documenti indica i nomadi del deserto.
Infine, l’ultima categoria era quella dei registri di trasmissione di sacchi postali, costituiti dalle copie di specifiche circolari che avevano la funzione di bolla di accompagnamento di pacchetti contenti più documenti; dopo averle ricopiate, con una nota finale il curator certificava la corretta ricezione e rispedizione di tutto quanto era elencato nelle medesime circolari.
Praesidia
I praesidia del deserto Orientale egiziano avevano una struttura tendenzialmente standardizzata: un perimetro quadrangolare dotato di torrette di osservazione agli angoli cingeva un pozzo, il cuore del fortino; tutt’intorno, addossati al muro di cinta, stavano il contubernium, cioè gli appartamenti per la guarnigione, il praetorium, sede del curator, un balneum, un horreum per contenere le provviste, un’aedes ‘edicola votiva’ e uno o più lacci, cisterne che permettevano di avere una costante disponibilità d’acqua.
All’esterno della cinta muraria venivano gettati tutti gli scarti, compresi gli ostraka, i cocci anforici usati come supporto scrittorio che hanno permesso agli studiosi di riscostruire la storia di questi luoghi. Tuttavia, dal momento che la maggior parte dei praesidia furono costruiti nelle vallate di wādī, fiumi a carattere torrentizio, in occasione di violenti e abbondanti precipitazioni la corrente ha causato lo smottamento di molte di queste discariche, disperdendone gli ostraka, quando non ha provocato il crollo di parte degli stessi fortini.
La direzione dei singoli praesidia era affidata ai curatores praesidiorum, ufficiali di rango principalis, cioè sesquiplicarii o duplicarii, o semplici cavalieri. Questi, come dimostra la loro corrispondenza, erano subordinati da un lato al decurione o al centurione di stanza nel campo a monte della catena di fortini, dall’altro, limitatamente ai curatores del settore meridionale del deserto Orientale, al prefetto di Berenice, di stanza a Coptos e preposto al controllo della regione.
Il curator comandava una guarnigione di modeste dimensioni composta da ausiliari tratti da varie unità dell’Alto Egitto. Come testimoniano i giornali di posta rinvenuti presso il fortino di Krokodilô, tre cavalieri erano sufficienti ad assicurare al praesidium i servizi di trasmissione della posta e di scorta dei viandanti; dallo studio delle tavole di servizio dei fortini di Maximianon, di Dios e di Krokodilô emerge invece che il numero dei fanti, impiegati soprattutto in attività di ronda, variava dalle 8 alle 18 unità.
Il curator espletava vari compiti, in particolare gestiva l’approvvigionamento del praesidium, vettovagliava, soprattutto d’acqua, le carovane e i viaggiatori provvisti di lasciapassare e forniva loro una scorta, registrava gli eventuali movimenti sospetti dei nomadi, regolava le diatribe, anche quando erano implicati i civili residenti nel fortino, e soprattutto si occupava della posta. Se furono infatti problemi relativi alla sicurezza a indurre le autorità romane ad installare la rete di fortini, la funzione principale che essa sviluppò fu quella di trasmettere la posta ufficiale da un capo all’altro del deserto
Autore: Fabrizio Lusani
Fonte: Casus Belli
Bibliografia:
BRUN, Jean-Pierre (dir.) ; et al., “The Eastern Desert of Egypt during the Greco-Roman Period: Archaeological Reports”, Paris: Collège de France, 2018.
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